lunedì 24 febbraio 2025

La guerra ti toglie tutto

Il giorno in cui Iryna e la sua famiglia si trasferirono fu uno dei peggiori della mia vita. La guerra andava avanti da un anno e mezzo, ormai, e le nostre famiglie vivevano nel terrore costante, anche se la zona in cui abitavamo non era ancora mai stata attaccata. Quella mattina io e la mia migliore amica di qualche anno più piccola di me, eravamo usciti presto per andare a scuola a piedi, come tutte le mattine, e come ogni giorno eravamo tornati a casa sani e salvi, felici che non fosse successo niente. Quel giorno, però, la felicità non durò molto. Quella mattina i genitori di Iryna avevano deciso di trasferirsi in un’altra zona dell’Ucraina, una zona meno rischiosa. Iryna e la sua famiglia vivevano a casa con me e mia mamma, visto che mio papà era stato arruolato nell'esercito. Mia mamma aiutava la mamma di Iryna con suo fratello Nazar, nato da poco, e il padre di Iryna si occupava di garantire sicurezza e cibo. 

Quindi, Iryna e la sua famiglia partirono. Mi lasciarono solo la tristezza per la partenza e una promessa: saremmo rimasti in contatto, per sempre migliori amici. Ci saremmo videochiamati ogni mattina appena svegli e ogni sera prima di andare a dormire, anche qualche pomeriggio, se riuscivamo con la scuola e tutto il resto. 

Era uno dei primi giorni di autunno e faceva abbastanza freddo. Dopo aver salutato la mia migliore amica corsi in camera mia, chiusi la porta e mi buttai sul letto a castello che fino a poco prima condividevamo. Finalmente le lacrime che trattenevo da tre giorni erano libere di scorrere sul mio viso, come l’acqua di un torrente liberata dalla morsa di una diga: la diga era Iryna. Lei era la mia salvezza, la sua presenza mi calmava e sapevo che nulla sarebbe andato male se ci fosse stata lei accanto a me. Ora, però, lei si era trasferita e io sarei tornato il fallimento di sempre, il ragazzino di nome Konstantyn che non sapeva fare nulla, lo sfigato che non vedeva il padre da più di un anno e che non lo avrebbe più rivisto a causa della guerra. 

Avevo aiutato Iryna a preparare la valigia e il letto era pieno delle cianfrusaglie che avevamo trovato nei cassetti mentre cercavamo le sue cose, ma mi ci sdraiai comunque e ben presto mi addormentai piangendo. Venne a svegliarmi mia mamma dicendomi che era pronta la cena, però non mangiai molto. 

Passarono i giorni e la mia vita diventò sempre più monotona: mi svegliavo, andavo a scuola, facevo i compiti e andavo a dormire. Io e Iryna ci sentivamo sempre meno e questo mi distruggeva. 

I giorni si fecero mesi e con la mia migliore amica riuscivo a parlare soltanto una volta alla settimana, perché i soldi mancavano e lei doveva prestare il telefono ai suoi genitori e riusciva ad averlo solo la domenica sera, quando loro non lavoravano. Nel frattempo, la zona di bombardamenti si era ampliata e ora comprendeva anche la città in cui si erano trasferiti, cosa che mi metteva ancora di più in ansia. Se c'era una cosa di cui avevo paura era perdere persone care e se fosse successo a lei o alla sua famiglia non me lo sarei mai perdonato, anche se in fondo non era colpa mia. 

Non sapevo, però, che il peggio doveva ancora arrivare. 

L'ultimo giorno di marzo era una fredda domenica, nonostante fosse primavera. Quel giorno era andato tutto liscio visto che non c'era scuola, ma avevo una brutta sensazione. Non vedevo l'ora che arrivasse quella sera per poter parlare con Iryna, ma la giornata sembrava non passare più e mi sentivo sempre più inquieto. Finalmente, alle nove di sera, sentii squillare il telefono e riuscii ad assicurarmi che lei e la sua famiglia stavano bene. 

Quella sera sembrava andasse tutto bene, gli attacchi erano diminuiti e la città in cui viveva Iryna non veniva bombardata da una settimana. Questa notizia l'avevo già sentita al telegiornale e forse era questa la cosa che mi preoccupava di più. Io e la mia migliore amica parlammo molto, c'erano tantissime cose che doveva raccontarmi, come il fatto che suo fratello aveva detto la sua prima parola, e anche io dovevo dirle molto. Finimmo per ridere a ogni minima sciocchezza, ne avevo davvero bisogno. Mi sentivo libero come non mai. Poi sentimmo le sirene antiaeree. Il terrore mi invase e ci volle tutto il mio autocontrollo per non cominciare a gridare o a piangere. Intanto lei mi guardava con lo sguardo terrorizzato. Desideravo essere lì per aiutarla, ma l’unica cosa che potevo fare era cercare di rassicurarla che sarebbe andato tutto bene. Poi mi disse una frase che mi è rimasta impressa nella memoria: ”Konstantyn, ho paura”: aveva una voce così spaventata! E il peggio era che non potevo fare nulla per salvarla. Il resto accadde tutto troppo in fretta. Si sentì una specie di fischio e dallo schermo del mio telefono vidi un’esplosione, seguita da un rumore assordante. Non realizzai cos’era successo finché non fu troppo tardi. Gridai così forte, tanto ero sconvolto, che mia mamma si precipitò in camera mia. Appena vide la mia espressione sconvolta e lo schermo nero del telefono davanti a me capì e mi abbracciò forte, piangendo anche lei. 

Quella ragazza per cui provavo un’inspiegabile affetto, non amore, più gratitudine, specialmente per il fatto che non mi avesse mai abbandonato, neanche davanti alle più grandi difficoltà ora era morta proprio davanti ai miei occhi, e io non avevo potuto fare nulla per salvarla. Non ero riuscito ad aiutarla nel momento in cui più ne aveva bisogno e non ero nemmeno riuscito a dirle addio.

Sono passati cinque anni da quel trentuno marzo e nel frattempo la guerra è finita. Il dolore, però, è rimasto e quello che vedo ogni volta che chiudo gli occhi è quell'esplosione e lo schermo del telefono che si spegne. La faccia spaventata di Iryna continua a perseguitare i miei sogni, accompagnata dal rumore della bomba che esplode. Non passo una notte tranquilla da quel giorno, e non c’è giorno in cui non vada alla casa sull’albero nel mio giardino. Quando eravamo bambini era lì che passavamo la maggior parte del tempo, e ora che sono adulto ci torno ogni volta che posso. Ogni tanto mi immagino il suo spirito di bambina giocare libero, e sussurro al vento, sperando che le porti le mie parole e che sia finalmente in pace.

Noemi Surian IIIBL

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