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giovedì 4 febbraio 2021
Rotta balcanica: emergenza umanitaria
Migliaia di persone vivono sotto ripari di fortuna in quello che è rimasto del campo profughi di Lipa, località tra i boschi sulle alture della Bosnia Erzegovina a pochi chilometri dal confine con la Croazia.
Dopo che la tendopoli temporanea che li ospitava è andata a fuoco, il 23 dicembre scorso, le loro condizioni già molte precarie sono precipitate.
Senza acqua, né elettricità, né servizi igienici gli sfollati (tutti uomini, richiedenti asilo, provenienti per lo più da Pakistan e Afghanistan) sono costretti a scaldarsi accendendo piccoli falò.
Abbandonati a loro stessi, i profughi non hanno vestiti adeguati e scarpe per affrontare l’inverno. Possono contare solo su un pasto al giorno che fornisce loro la Croce Rossa, l’unica organizzazione insieme alla Caritas ed IPSIA (Istituto Pace Sviluppo e Innovazione), autorizzata ad operare.
I militari dell’esercito bosniaco stanno allestendo delle nuove tende che dovrebbero garantire una sistemazione meno precaria. Tuttavia non sono al momento previsti né allacciamenti idrici né collegamenti con la rete elettrica che sarebbero fondamentali per affrontare i prossimi mesi invernali e assicurare standard igienico-sanitari minimi tanto più in mezzo ad una pandemia, come quella prodotta dal virus SARS-CoV-2, che ha colpito duramente anche il Paese balcanico.
Il destino dei profughi resta, dunque, molto incerto. Nata come soluzione transitoria, Lipa avrebbe dovuto trasformarsi in un campo ufficiale. Ma il Cantone e la Municipalità si erano opposte alla decisione del Consiglio dei ministri di Sarajevo rifiutandosi di dare corso ai lavori di adattamento necessari per assicurare una sistemazione dignitosa ai 1500 ospiti.
Se pare tramontata l’ipotesi di adeguare l’accampamento di Lipa, nemmeno un trasferimento a Bihac pare al momento un’opzione praticabile sempre per l’opposizione del sindaco della cittadina e delle autorità del Cantone di Una Sana, che a fine settembre avevano chiuso il campo di Bira, allestito in una ex fabbrica e si erano opposti strenuamente ad ogni tentativo di riapertura.
Una posizione intransigente sostenuta, per altro, da larga parte della cittadinanza. Lo scorso 22 dicembre, la popolazione aveva bloccato e rimandato indietro i minibus di migranti in arrivo da Lipa organizzati dal governo.
Questa crisi civile, politica e istituzionale è all’origine della “catastrofe umanitaria” che IOM (International Organization for Migration) denuncia.
Secondo l’organizzazione sarebbero almeno 3.000 le persone totalmente allo sbando, senza un posto dove stare, nel bel mezzo dell’inverno. Una situazione, tra l’altro, aggravata dai violenti respingimenti alla frontiera della polizia croata denunciati anche al Parlamento Europeo che impediscono ai migranti di proseguire il loro viaggio in Europa.
In queste gravissime condizioni umanitarie, Caritas Ambrosiana, Caritas Italiana, IPSIA, hanno deciso un intervento di urgenza per aiutare i profughi, imprigionati nei boschi della Bosnia dai veti incrociati delle autorità.
Per sostenere questo intervento è partita in una raccolta fondi.
Non è la soluzione al problema, ma è la sola cosa che in questo momento è possibile fare per permettere a queste persone almeno di sopravvivere.