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mercoledì 5 febbraio 2020

Il confine orientale italiano dal 1941 al 1954


Nel 1941, dopo l'attacco tedesco, italiano e bulgaro alla Jugoslavia, il confine orientale italiano si espande fino a comprendere la Slovenia meridionale, l'entroterra di Fiume e la Dalmazia. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, il crollo del nuovo confine imperiale travolge anche le terre annesse dopo la Grande Guerra. I tedeschi raccolgono tutte le province a cavallo della frontiera in una Zona di Operazioni Litorale Adriatico.
Nel maggio 1945 la maggior parte della Venezia Giulia, con tutta l'Istria, viene sottoposta all'occupazione jugoslava. Il Trattato di pace assegna alla Jugoslavia Zara, Fiume e quasi tutta l'Istria. La parte nord-occidentale della penisola dovrebbe entrare a far parte del Territorio Libero di Trieste, ma rimane invece sotto occupazione jugoslava. 
Il Trattato di Pace prevedeva il diritto, per gli abitanti di madrelingua italiana dei territori passati sotto la sovranità jugoslava, di optare per la cittadinanza italiana e di trasferirsi in Italia con i loro beni mobili.
Tra il 1948 e il 1951 quasi tutti optarono per l'Italia. Le ragioni erano sia economiche che politiche.
Il regime distingueva tra italiani "onesti e buoni", cioè disposti a mobilitarsi in favore della Jugoslavia e del comunismo, e "residui del fascismo", cioè tutti gli altri. Questi ultimi subivano angherie di ogni sorta, vedevano negati valori e costumi e impedita ogni espressione di italianità. Di conseguenza, le comunità italiane si convinsero che nella Jugoslavia comunista mantenere la loro identità era impossibile e scelsero il rischio dell'esodo.
Capitò, in massa, prima a Pola poi agli abitanti della Zona B, del previsto, ma mai costituito, Territorio Libero di Trieste.
Il Memorandum di Londra del 1954 assegnò di fatto Trieste all'Italia e il resto (Zona B) alla Jugoslavia.

martedì 4 febbraio 2020

Cosa sono le foibe?



Le foibe sono inghiottitoi naturali tipici dei terreni carsici, che sono stati utilizzati per far scomparire i corpi di parte delle vittime delle stragi di italiani compiute nella Venezia Giulia nell'autunno del 1943 e nella primavera del 1945. Di solito però il termine viene usato nel suo significato simbolico, come sinonimo di quelle stragi.
Nel 1943 l'epicentro delle stragi è l'Istria, nel 1945 Trieste e Gorizia, in misura minore Pola e Fiume. In entrambi i casi il territorio è occupato dal movimento di liberazione jugoslavo o dalle autorità del nuovo stato comunista jugoslavo, responsabili delle violenze.
Sia nel 1943 che nel 1945 i partigiani jugoslavi estendono alla Venezia Giulia le pratiche di lotta già sperimentate nel corso della guerra di liberazione jugoslava, che è anche guerra civile e rivoluzione. Ovunque vengono creati i "poteri popolari" e si procede all'"epurazione dei nemici del popolo". Come tali vengono considerati quanti rappresentano i potere italiano: quadri del partito fascista, esponenti delle istituzioni, notabili, professionisti, figure eminenti delle comunità italiane, ma anche familiari dei ricercati e vittime di rancori personali.
In Istria, nel 1943 gli arrestati vengono concentrati in alcune località, sottoposti a giudizio sommario, in genere condannati a morte e poi fucilati collettivamente, spesso sull'orlo delle voragini. I corpi vengono precipitati nelle cavità naturali (foibe) o artificiali (miniere) oppure anche dispersi in mare. 
Nel 1945 l'elenco dei "nemici del popolo" si estende ancora, fino a comprendere sia chi ha collaborato con i tedeschi, sia gli esponenti dei comitati di liberazione italiani, che hanno combattuto contro i tedeschi ma sono contrari all'annessione della regione alla Jugoslavia, sia anche gli esponenti del movimento autonomista fiumano, antifascista e antiannessionista.
In tutta la Venezia Giulia gli arrestati sono più di 10.000. Alcuni vengono uccisi subito, altri inviati nei campi di prigionia, dove la mortalità è altissima. Alcune migliaia non fanno ritorno.

Per capirne un po' di più consigliamo la visita al Museo della Civiltà Istriana, Fiumana e Dalmata di Trieste

giovedì 7 febbraio 2019

Art. 1. della Legge 30 marzo 2004, n. 92

   
 1. La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale «Giorno del ricordo» al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.
    2. Nella giornata di cui al comma 1 sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende. Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all'estero.
[...]
Parlamento Italiano

Le tre fasi delle foibe



«Quando si parla di foibe, si tende a generalizzare il fenomeno. Un fenomeno che può essere invece distinto in tre fasi. Ci furono i fucilati. Ci furono i deportati in campi di concentramento, dove rimasero anche a lungo, morendo di stenti, sevizie, malattie. Infine ci furono gli infoibati. Questi ultimi in linea di massima venivano spintonati a calci e pugni fino all'orlo della cavità. Avevano i polsi legati col fil di ferro. Spesso erano messi a due a due. Così si sparava al primo, che precipitava nella foiba, portandosi appresso quello vivo. La foiba era fonda decine, anche centinaia di metri. Potevano morire, i vivi, dopo lunga agonia. Testimonianze riferiscono di urla, di strazianti richieste di aiuto che arrivavano dal ventre della terra anche uno, due giorni dopo gli eccidi.»
Guido Rumici

Guido Rumici è uno storico, scrittore, accademico e giornalista italiano. Studioso della storia del confine orientale italiano ed esperto di storia della Venezia Giulia e della Dalmazia, Rumici è autore di numerosi saggi sull'argomento, cui ha dedicato più di un decennio di ricerche e documentazione.

10 febbraio: Giorno del Ricordo



Tra il settembre del 1943 e la primavera del 1945, nei territori della Venezia Giulia occupati dal Movimento Popolare di liberazione Jugoslavo del maresciallo Tito, migliaia di uomini e donne scomparvero nelle foibe, le cavità naturali che si aprono nel Carso. Gli eccidi colpirono soprattutto la popolazione italiana di quelle zone e, in misura minore, anche sloveni e croati. 
Inoltre, ben trecentocinquantamila furono gli esuli che si dovettero allontanare dall'Istria e dalla Dalmazia per sfuggire alle rappresaglie.
In memoria delle vittime delle foibe in Italia il 10 febbraio si celebra il Giorno del ricordo, istituito con una legge del marzo 2004.

"Fu una barbarie [...] che assunse i sinistri connotati di  una pulizia etnica"