Nel 1941, dopo l'attacco tedesco, italiano e bulgaro alla Jugoslavia, il confine orientale italiano si espande fino a comprendere la Slovenia meridionale, l'entroterra di Fiume e la Dalmazia. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, il crollo del nuovo confine imperiale travolge anche le terre annesse dopo la Grande Guerra. I tedeschi raccolgono tutte le province a cavallo della frontiera in una Zona di Operazioni Litorale Adriatico.
Nel maggio 1945 la maggior parte della Venezia Giulia, con tutta l'Istria, viene sottoposta all'occupazione jugoslava. Il Trattato di pace assegna alla Jugoslavia Zara, Fiume e quasi tutta l'Istria. La parte nord-occidentale della penisola dovrebbe entrare a far parte del Territorio Libero di Trieste, ma rimane invece sotto occupazione jugoslava.
Il Trattato di Pace prevedeva il diritto, per gli abitanti di madrelingua italiana dei territori passati sotto la sovranità jugoslava, di optare per la cittadinanza italiana e di trasferirsi in Italia con i loro beni mobili.
Tra il 1948 e il 1951 quasi tutti optarono per l'Italia. Le ragioni erano sia economiche che politiche.
Il regime distingueva tra italiani "onesti e buoni", cioè disposti a mobilitarsi in favore della Jugoslavia e del comunismo, e "residui del fascismo", cioè tutti gli altri. Questi ultimi subivano angherie di ogni sorta, vedevano negati valori e costumi e impedita ogni espressione di italianità. Di conseguenza, le comunità italiane si convinsero che nella Jugoslavia comunista mantenere la loro identità era impossibile e scelsero il rischio dell'esodo.
Capitò, in massa, prima a Pola poi agli abitanti della Zona B, del previsto, ma mai costituito, Territorio Libero di Trieste.
Il Memorandum di Londra del 1954 assegnò di fatto Trieste all'Italia e il resto (Zona B) alla Jugoslavia.
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