sabato 25 marzo 2023

Mai più principessa!

Fin da piccola sono stata abituata a indossare abbigliamento pratico.

Il mio armadio straripava di jeans, in una scala di colori che andava dal classico blu fino ad arrivare al giallo. C'erano tutti i modelli, da quello a zampa a quello skinny, da quello strappato a quello brillantinato, poi leggins in grande quantità, ottimi per l'asilo, perché, secondo mamma, erano pratici e non limitavano i movimenti. In realtà a me stringevano e pizzicavano, ma ero troppo piccola per avere voce in capitolo.  Nell'armadio inoltre c'erano T-shirt e felpe da vendere e una gonna, che dopo avermi vista con le gambe all’aria, era stata cacciata nell’angolo più sperduto dell’armadio.

Mamma per tutto il periodo dell’asilo mi vestiva a strati quindi uscivo di casa che sembravo l’omino Michelin, ed era più il tempo che passavo davanti all'armadietto per spogliarmi che quello dentro in classe.

Finalmente sono cresciuta e ho iniziato le elementari; ero consapevole di quello che indossavo e ho iniziato ad impormi: "Questo lo metto, questo non mi piace, questo è troppo caldo, questo è troppo leggero...” quindi non sembravo più l’omino Michelin.

Poi è successo che mia mamma ha aperto un negozio di abbigliamento 0-17 anni proprio davanti alla scuola. E CHI E' DIVENTATA IL SUO BIGLIETTO DA VISITA?? NATURALMENTE IO! Ha iniziato a riempirmi gli armadi di capi che spaziavano dallo stile rock, all’etnico al romantico.

Credevo di aver raggiunto la mia indipendenza “vestiaria”, ma mi ero fatta fregare da mia mamma che continuava a farmi notare che tutte le mie amiche si vestivano ancora da bamboline con fiocchi abbinati tra i capelli e le Lelly Kelly. Presa dallo sfinimento e dallo stordimento a giugno, tre giorni prima della fine della scuola, ho indossato un paio di pantaloni a palazzo, lunghissimi e larghissimi a righe blu e bianche con un fiocco in vita, una maglia abbinata blu con spalle scoperte e scarpa da ginnastica perché le ballerine erano OFF LIMITS.

A giugno, a scuola, ci permettevano di non indossare il grembiule per il caldo così avrei potuto sfoggiare l’outfit di punta di quel periodo nel negozio di mia mamma.

Durante la ricreazione, VUOI NON GIOCARE CON I TUOI COMPAGNI??

VUOI FARE LA BELLA STATUINA PERCHE’ INDOSSI UN OUTFIT DA CERIMONIA? NO, CORRIAMO COME CAVALLI PAZZI IN GIARDINO… peccato che i pantaloni fossero talmente lunghi che correndo li  ho calpestati e mi sono trovata in volo a planare in mezzo l’erba. Volevo sprofondare perché naturalmente ho fatto una caduta stile pagliaccio al circo e i gli altri bambini non aspettavano altro, per potermi prendere in giro e ridere. Io ho riso un po’ meno: metatarso rotto e mezza estate con il gesso.

Mi è bastato provare ad essere "principessa" per un solo giorno,  poi sono tornata ad essere me stessa: JEANS E FELPA!

Sofia Pizza IIIDS

Perché? Perché proprio io?!

In quel momento avrei voluto sparire, sprofondare, diventare invisibile o tornare indietro nel tempo.

Già... sto parlando di quel giorno in cui sentii il mio nome provenire dalla bocca della professoressa seguito dalla frase “sei interrogata”.

Penso sia scontato dire che quel giorno non ero preparata, a malapena sapevo l’argomento dell’interrogazione.

Iniziai a sentire caldo, stavo sudando e provavo un’ansia indescrivibile.

Erano le 10.15 e la prof. fece la prima domanda. 

Mi sembrava che le orecchie cominciassero a stringermi il cranio. Scottavo.

In quel momento il mio unico pensiero era “Perché non ho studiato??” "Perché ha chiamato me? PERCHE’?!”

Mentre stavo cercando di ricordare qualcosa per riuscire a rispondere, sentii: “Alessia, parlami di…” 

Era come se fossi sott’acqua, dentro una cupola che mi impediva di pensare. 

Il mio cervello non funzionava. 

Mentre tutti mi guardavano, io provavo solo imbarazzo. Probabilmente stavano pensando che ero una sfaticata, che non studiavo e tutto ciò mi faceva sentire ancora più a disagio.

Avevo gli occhi dei miei compagni  puntati addosso. Perchè? Perché mi guardavano? Perché i loro sguardi condizionavano le mie emozioni?

Quel giorno finì con un “impreparato” in scienze e con tanti sensi di colpa che provo ancor oggi. 

Questa figuraccia rimarrà, per sempre, impressa nella mia mente.

Alessia Birjovanu IIIDS

Tutta colpa delle carote!

E'  passato un po’ di tempo da quel giorno, ma ancora lo ricordo come fosse ieri!

Non sono una persona a cui piace mettersi in mostra ma quel giorno a scuola durante la pausa pranzo, in mensa, successe qualcosa che cambiò la mia reputazione per un bel po’.

Era il giorno di rientro, e come sempre, uscita dalla classe, mi sono avviata a passo veloce con i miei amici verso la mensa per sederci al nostro solito tavolo. 

Eravamo in sei: io, la mia migliore amica e altri miei compagni più fidati.

Come al solito abbiamo preso il vassoio e tra sgambetti, spinte e corsette ci siamo messi tutti in fila. 

Il menù di quel giorno era: pasta in bianco (che successivamente venne ricoperta da una montagna di formaggio grana che “Everest” scansati proprio) poi fesa di tacchino e carote tagliate a bastoncino (maledette carote!). 

La mia dentatura, allora, non era tra le migliori, mi mancavano i denti davanti e non so perchè ma quel giorno mi inventai di fare una cosa che era meglio non facessi: con le mani presi alcuni bastoncini di carota e iniziai, senza dare troppo nell’occhio, ad infilarmeli tra le fessure dei denti mancanti.  Quando fui sicura che non cadessero mi girai verso la mia migliore amica, la chiamai colpendole la spalla con un dito e quando lei si voltò verso di me le sorrisi con "la mia nuova dentatura", facendo uno strano verso, tipo “ghigno malefico”. Lei mi guardò dapprima seria, poi esplose improvvisamente in una simpatica e forte risata che fece girare tutti verso il nostro tavolo; pure io, che mi ero già dimenticata delle mie condizioni, mi girai verso gli altri ridendo e mostrando i miei denti di carota. 

Diventai così la protagonista di una situazione a dir poco imbarazzante. 

La mia faccia divertita, quando realizzai che il motivo del loro divertimento ero io, si trasformò in una faccia da funerale.  Le carote iniziarono a cadere una ad una, mi rimisi seduta composta e feci finta di niente fissando il piatto e sentendo le orecchie bruciare per l’imbarazzo. 

I miei amici invece di “consolarmi” continuarono a ridere e a prendermi in giro.

Da quel giorno per un bel po’ di tempo tutta la scuola mi conosceva come “il tricheco dai denti arancioni” e da lì non mangiai né toccai più carote in mensa. Ancora oggi ripensando a quel giorno mi sento in imbarazzo.

Anonima 

martedì 14 marzo 2023

Incontro con i coniugi Dall'Oro, volontari per Medici con l'Africa Cuamm

Mercoledì 18 gennaio 2023, i signori Dall'Oro, Alessandro e Virginia, sono venuti in classe a raccontarci la loro storia. 

Nel raccontarcela trasmettevano la sicurezza di quella scelta fatta tanti anni fa.

Alessia Zecchinello


Il Dott. Alessandro Dall'Oro e la moglie Virginia decisero di partire come volontari per Medici con l'Africa Cuamm.

Per loro è stata una bella esperienza vivere in Kenia, ma soprattutto aiutare le persone.

Gioia Boattin


"Volontariato" è quando fai qualcosa di tua volontà senza ricevere nulla in cambio, come hanno fatto i signori Dall'Oro.

Alessandro, nato nel 1946, ha studiato Medicina, laureandosi nel 1973 a Padova. 

Ha risieduto presso il Collegio Universitario CUAMM, mentre si stava specializzando in chirurgia generale.

Nel 1975 è andato, con la moglie, in Kenya per due anni, a svolgere il servizio di medico volontario nel villaggio di Nkubu, dove c’era l’ospedale missionario.

Lì, nel 1976, è nata la loro prima figlia, Elisabetta.

La famiglia Dall'Oro è tornata in Italia per la specializzazione in chirurgia di Alessandro, poi dal 1981 al 1983 è tornata  a Nkubu, dove il signor Alessandro ha continuato a svolgere il lavoro di medico. 

Lui e altri medici andavano ogni settimana in diversi ambulatori del Paese a visitare i pazienti che a volte erano un centinaio.

Medici con l'Africa Cuamm  oltre ad aiutare direttamente le persone, si occupa anche della formazione dei medici di base del territorio.

Mentre Alessandro lavorava in ospedale, la moglie, Virginia, si occupava dei bambini orfani, disabili e malati.

Desy Martin


Quando  i coniugi Dall'Oro arrivarono in Kenia, a Nkubu, gli venne assegnata una casetta dove abitare. Lì vivevano in maniera semplice: grazie a un generatore avevano la luce fino alle 22:00.

Il signor Dall'Oro ci ha raccontato che la cosa più bella del curare quelle persone era la loro gratitudine: un "grazie" valeva molto di più di uno stipendio.

Sentendo la loro storia ho capito che tutti possiamo "andare incontro" al prossimo.

Chimento Sara


Sono felice di aver ascoltato e conosciuto la storia dei signori Dall'Oro.

Giacomo Bellotto


Alessandro e la moglie ebbero le loro altre tre figlie in Africa. Ma il I marzo 1983, una di loro, Giulia, nata prematura, a causa della mancanza di un'incubatrice, non sopravvisse: fu un momento molto triste.

Ammiro il grande altruismo, la forza d'animo e la capacità di trovare la felicità nelle piccole cose di questi due signori.

A me è parso che un pezzo del loro cuore sia ancora  lì, in Kenia.

Anna Franzon


Nel 2015 i signori Dall'Oro, proprio per quello che avevano vissuto, portarono quattro incubatrici nell'ospedale dove erano nate le figlie, per inaugurare una sala neonatale.

Quelle quattro incubatrici a tutt’oggi salvano, all’anno, in media quaranta bambini nati prematuri.

Edoardo Gobbo


Da questa loro esperienza è evidente che l'uguaglianza è un dato di fatto: non importa il colore della pelle.

Matilde Gabatel


La signora Virginia portava spesso a casa i bimbi di cui si occupava, li trattava come se fossero suoi figli: giocavano assieme alle sue figlie, felici e contenti.

Quando tornarono in Africa nel 2015 per portare le incubatrici, queste ultime vennero subito utilizzate per due gemellini: un maschio e una femmina. Ci fu una grande festa!

Nirmine Dezzaz


La decisione di andare in Africa, Alessandro Dall'Alloro la maturò dall'incontro con un medico di Caorle che gli raccontò la sua esperienza con Medici con l'Africa Cuamm.

Decise  allora di formarsi e partire.

Dopo aver sentito il suo racconto, sto pensando di diventare medico per andare in Africa ad aiutare.

Edoardo Bizzarini



Ascoltando i coniugi Dall'Oro ho riflettuto sul fatto che nel mondo c'è tanta gente che non vive bene come noi, che non dispone di cure adeguate, che non ha nemmeno l'acqua... Ho capito che bisogna sempre aiutare chi è più sfortunato, perché dovremmo tutti avere queste cose.

Bianca Ronchi

Una cosa che mi ha molto colpito è che i signori Dall'Oro hanno fatto la scelta di mettersi a disposizione degli altri, in giovane età.

Veronika Serovetnyk

L'aspetto che mi ha colpito di più dei Dall'Oro è stata la loro determinazione nel prendere, improvvisamente, una decisione tanto importante: andare in un posto sconosciuto, con l'idea ben chiara di aiutare gli altri

Federico Pigat



Sono felice di aver conosciuto queste due persone che hanno dedicato parte della loro vita ad aiutare altre persone.

Stefano Dal Borgo


I Dall'Oro, appena arrivati in Africa, furono contenti dell'accoglienza: vennero subito trattati come se fossero del paese.

Noemi Di Rosa


Grazie alle parole del signor Alessandro e della signora Virginia ho capito che è doveroso aiutare gli altri.

Mattia Vezzà



Ognuno di noi, nel suo piccolo, può fare volontariato, basta volerlo!

Matteo Fiorindo


Aiutare gli altri ci fa sentire meglio:  siamo tutti uguali ed è giusto essere solidali tra di noi.

Alessandro Prataviera


E' importante dare una mano!

Tommaso Antonel



mercoledì 1 marzo 2023

Chi dice donna dice... scienza!

Katia Krafft: "la fidanzata dei vulcani"


Katia Conrad nacque il 17 aprile 1942, a Soultz-Haut-Rhin, in Francia.

Da piccola era una bambina molto vivace, soprattutto in ambito scolastico, perciò i suoi genitori decisero di iscriverla ad una scuola privata.

Katia iniziò giovanissima ad appassionarsi alla matematica e alle scienze, in particolare ai vulcani.

Nel 1961 si iscrisse all'Università di Strasburgo, dove studiò geochimica  e dove  conobbe  il geologo Maurice Krafft, suo futuro marito.

Insieme i due pianificarono di girare il mondo per andare alla ricerca di nuovi vulcani da fotografare, documentare, filmare, dato che entrambi erano appassionati di questi  terribili ma affascinanti mostri della Terra.

Purtroppo la coppia morì in seguito a una colata piroclastica durante l'eruzione del monte Unzen, in Giappone, il 3 giugno 1991.

Giulia Zanon IIIBL


Katherine Johnson: "In matematica, o hai ragione o hai torto."

White Sulphur Springs, 26 agosto 1918 – Hampton, 24 febbraio 2020

Katherine Johnson fu un’importante ricercatrice matematica e scienziata aerospaziale.

Molte persone non la presero sul serio perchè era donna e di colore: quando lei era giovane la segregazione razziale era legale e diffusa negli Stati Uniti. 

Katherine Johnson nacque nel 1918 in West Virginia. 

Fin da piccola dimostrò un grande talento per la matematica e una spiccata intelligenza. 

A scuola "bruciò le tappe", infatti, si diplomò a quattordici anni e a diciotto conseguì la laurea in matematica. 

Il suo primo impiego fu quello di insegnare in una scuola elementare anche se il suo sogno era quello di diventare una ricercatrice in matematica.

Nel 1953 inviò una candidatura alla NACA (l’ente che si occupava dell’aeronautica americana) per diventare “calcolatore”: colui e/o colei che calcolava la traiettoria dei voli; per la sua bravura e la sua precisione venne subito promossa al “Dipartimento di ricerca sul volo”, nonostante l'ostilità dei suoi colleghi, tutti uomini bianchi.

Alcuni anni dopo le cose cambiarono: venne abolita la segregazione razziale negli Stati Uniti e la “NACA” si trasformò in “NASA” . Katherine iniziò ad occuparsi del calcolo della traiettorie dei missili per le missioni spaziali USA. 

Lei calcolò la traiettoria di volo di Alan Shepard, il primo americano nello spazio e quella di John Glenn, il primo astronauta americano ad entrare in orbita attorno alla Terra. 

Collaborò alla preparazione della missione lunare Apollo 11 e senza i suoi calcoli l’equipaggio dell’Apollo 13 non sarebbe riuscito a tornare sulla Terra.  

Per la sua bravura, il suo coraggio ed il suo impegno Katherine ricevette da Barack Obama la “Presidential Medal of Freedom” nel 2015.

Katherine Johnson morì nel 2020 all’età di 101 anni.  

Tommaso Savian IIIBL


Valentina Tereshkova: la prima donna nello spazio

Valentina Tereshkova nacque a Bol'šoe Maslennikov in Russia, il 6 marzo del 1937 da una famiglia bielorussa di umili origini.

Nel 1959, convinta dalla sua amica Galina, si iscrisse a paracadutismo. Quest'ultimo diventò la sua passione, e continuò a praticarlo mentre lavorava in fabbrica per aiutare la famiglia in precarie condizioni economiche.

Il 12 Aprile 1961 l'astronauta russo, Yuri Gagarin fu il primo al mondo a compiere un’impresa spaziale. 

Valentina cominciò da allora ad immaginarsi nello Spazio.

Lo stesso anno frequentò la scuola di addestramento di Mosca per diventare cosmonauta e, dopo due anni di duro allenamento e preparazione, venne scelta tra altre quattro donne, (Irina Solovyova, Tatyana Kuznetsova, Zhanna Yorkina e Valentina Ponomaryova) per essere inviata nello spazio.

Nel 1963 Valentina Tereshkova a bordo della navicella Vostok 6 venne lanciata dal cosmodromo di Bajkonur per una missione di settantuno ore e compì quarantanove orbite attorno alla Terra. 

Fu la prima donna al mondo ad andare nello spazio.

Dal 2017 Valentina vive nella “Città delle Stelle”, un centro militare di addestramento e ricerca spaziale nei pressi di Mosca.

Federico Ongaro IIIBL

Rosalind Franklin e a scoperta del DNA

Rosalind Franklin nacque il 25 luglio 1920 a Notting Hill, a Londra, in una famiglia ebrea benestante.
Durante la guerra studiò chimica a Cambridge. Nel 1947 si trasferì a Parigi per studiare al Laboratoire Central des Services chimiques de l'État; lì si appassionò allo studio della cristallografia a raggi X e imparò ad osservare la materia su una scala infinitamente piccola. Nel 1951 tornò a Londra per lavorare al King's College dove riuscì ad ottenere le migliori immagini della molecola del DNA
Lì collaborò con Raymond Gosling e Maurice Wilkins.
Wilkins, nel 1953, mostrò ai due ricercatori James Watson e Francis Crick la migliore immagine del DNA scattata da Rosalind, fu così che se ne riuscì ad intuirne la struttura. 
In quell'anno Rosalind andò via dal King's College e iniziò a lavorare alla Birkbeck University con il fisico John D. Bernal
Il 16 aprile Rosalind 1958 morì a Chelsea per una malattia forse causata dall'esposizione ai raggi X con cui lavorava. 
Dopo quattro anni Watson, Crick e Wilkins ricevettero il Premio Nobel per la scoperta della struttura del DNA; il contributo di Rosalind venne riconosciuto solo dopo molti anni.

Diana Pianura IIIBL