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lunedì 8 aprile 2024

Racconto: Ulisse e Polifemo

L’ alba ci svegliò con i suoi mille colori e una brezza leggera mi solleticò il naso. Respirai a pieni polmoni l'aria salata che già da diversi anni ci circondava. Ad un certo punto un grande appetito mi colse: era ora di colazione.

Mi diressi affamato verso la prua turchina dove incontrai Alexandros: 

“Capitano, siamo a corto con le provviste. O facciamo scalo o creperemo tutti”.

“Nobile Alexandros, come gli dei ci aiutarono per la conquista della ribelle rocca di Troia, così ci aiuteranno e ci sosterranno fino a Itaca”. 

Detto ciò mi congedai.

Troppi pensieri mi echeggiavano per la testa. Ad un certo punto un urlo mi fece trasalire: “Terra!!”.

Cinque minuti dopo eravamo già sulla misteriosa isola. Arrivammo in una caverna enorme e ci entrammo. All’interno era tutta scura e cupa tanto che avrebbe potuto spaventare anche un leone.

La caverna era piena di cibi: formaggi di capra e pecora … 

“Prendiamo un po’ di cose e andiamocene” disse qualcuno. ”Non se ne parla” dissi.

Il mio non era coraggio ma curiosità, un difetto che, insieme alla furbizia, era cresciuta insieme a me. 

Ad un certo punto un gigante, seguito da un gregge, entrò nella caverna e chiuse il passaggio con un pesante macigno. In quell’istante mi sentii un uccello in gabbia. 

Polifemo, sbattendo due pietre, fece cadere sulla paglia due scintille dorate che rischiararono la caverna.

Solo allora riuscimmo a mettere a fuoco il ciclope. Era enorme, vestiva pelli di pecora e aveva una lunga barba incolta. La cosa che lo rendeva particolarmente spaventoso era il suo enorme occhio centrale. Appena ci vide Polifemo allungò le mani, prese due marinai e li sgranocchiò davanti a noi. 

La mia curiosità mi aveva ingannato. 

Poi però mi venne un’idea: avrei offerto al ciclope un po’ di vino addormentandolo, gli avremmo detto che mi chiamavo Nessuno e poi gli avremmo infilzato un bastone nell’occhio. Tutto andò come previsto.

Una volta raggiunto il largo con la nave, riuscimmo a sentire l’ultimo urlo del ciclope: 

“Nessuno mi ha accecato”.

Giovanni Buriola IDS

sabato 7 marzo 2020

Il poema della favolosa avventura: l'Odissea

Mentre l'Iliade è il poema dell'eroismo guerriero, l'Odissea è il poema della favolosa avventura. Se l'Iliade infatti è tutta risonante di battaglie e di armi ed è pervasa da un'atmosfera di tensione, di odio, di ferocia, l'Odissea ci trasporta nel regno della fantasia, del meraviglioso, dove l'elemento magico assume un ruolo determinante.
L'Odissea narra l'avventuroso e difficile viaggio di ritorno in patria di Odisseo (Ulisse), dopo la distruzione di Troia.
Forte e coraggioso, abile guerriero, Ulisse è soprattutto uomo ingegnoso, calmo e riflessivo, tenace e astuto. E' l'eroe della saggezza è dell'intelligenza. Dominato da un profondo desiderio di conoscenza, egli vuole apprendere, ha sete di avventura e una forte attrazione per il mistero, l'ignoto.
Ulisse è, però, anche l'eroe umano per eccellenza: prova passioni e sentimenti comuni. Sempre presenti in lui sono la nostalgia per la patria e l'amore per la famiglia.


La guerra di Troia è finita ormai da dieci anni, ma Ulisse non è ancora tornato in patria. Nella sua reggia a Itaca i Proci spadroneggiano e insistono affinché Penelope, la moglie di Ulisse, scelga uno di loro come sposo.Telemaco, suo figlio, allora decide di partire alla ricerca del padre. 
Si reca a Pilo da Nestore e a Sparta da Menelao, dal quale apprende che Ulisse è vivo, trattenuto nell'isola di Ogigia dalla ninfa Calipso...