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lunedì 8 aprile 2024

Racconto: Ulisse e Polifemo

L’ alba ci svegliò con i suoi mille colori e una brezza leggera mi solleticò il naso. Respirai a pieni polmoni l'aria salata che già da diversi anni ci circondava. Ad un certo punto un grande appetito mi colse: era ora di colazione.

Mi diressi affamato verso la prua turchina dove incontrai Alexandros: 

“Capitano, siamo a corto con le provviste. O facciamo scalo o creperemo tutti”.

“Nobile Alexandros, come gli dei ci aiutarono per la conquista della ribelle rocca di Troia, così ci aiuteranno e ci sosterranno fino a Itaca”. 

Detto ciò mi congedai.

Troppi pensieri mi echeggiavano per la testa. Ad un certo punto un urlo mi fece trasalire: “Terra!!”.

Cinque minuti dopo eravamo già sulla misteriosa isola. Arrivammo in una caverna enorme e ci entrammo. All’interno era tutta scura e cupa tanto che avrebbe potuto spaventare anche un leone.

La caverna era piena di cibi: formaggi di capra e pecora … 

“Prendiamo un po’ di cose e andiamocene” disse qualcuno. ”Non se ne parla” dissi.

Il mio non era coraggio ma curiosità, un difetto che, insieme alla furbizia, era cresciuta insieme a me. 

Ad un certo punto un gigante, seguito da un gregge, entrò nella caverna e chiuse il passaggio con un pesante macigno. In quell’istante mi sentii un uccello in gabbia. 

Polifemo, sbattendo due pietre, fece cadere sulla paglia due scintille dorate che rischiararono la caverna.

Solo allora riuscimmo a mettere a fuoco il ciclope. Era enorme, vestiva pelli di pecora e aveva una lunga barba incolta. La cosa che lo rendeva particolarmente spaventoso era il suo enorme occhio centrale. Appena ci vide Polifemo allungò le mani, prese due marinai e li sgranocchiò davanti a noi. 

La mia curiosità mi aveva ingannato. 

Poi però mi venne un’idea: avrei offerto al ciclope un po’ di vino addormentandolo, gli avremmo detto che mi chiamavo Nessuno e poi gli avremmo infilzato un bastone nell’occhio. Tutto andò come previsto.

Una volta raggiunto il largo con la nave, riuscimmo a sentire l’ultimo urlo del ciclope: 

“Nessuno mi ha accecato”.

Giovanni Buriola IDS

venerdì 26 gennaio 2024

Gli amici: il centro della vita


L'adolescenza (periodo che sto affrontando, dato che comprende i ragazzi di una fascia di età tra i 10 e i 20 anni) è un’ età di cambiamenti: cambiano il tuo aspetto, i tuoi gusti, i tuoi interessi e i rapporti con le persone. Per esempio, riguardo al rapporto con i genitori, succede molto più spesso che io litighi con loro (o che gli disobbedisca). Anche con mio fratello il rapporto è cambiato: adesso è un legame di amore e odio mentre prima ci volevamo semplicemente molto bene.

Anche i gusti si evolvono. Spesso per non essere esclusi, ma anche perché si diventa più grandi. Per esempio se una volta amavo giocare con le bambole adesso preferisco uscire con le amiche; ci sono però alcuni  interessi  che rimangono sempre uguali, per esempio mi piaceva molto la danza quando ero piccola e tuttora è così.

In questa età "avviene" un fenomeno detto "conformismo": si tende a essere uguali agli altri. Infatti a quasi tutte noi ragazze piacciono le stesse cose (musica, shopping, videogiochi …) e i ragazzi hanno quasi tutti lo stesso taglio di capelli.

Inizia a cambiare anche il carattere, perché, almeno io, preferisco essere autonoma piuttosto che dover dipendere dai miei genitori costantemente. Ognuno comunque conserva la propria personalità: c’è chi è più introverso, chi più spavaldo, chi più permaloso e così via.

Questo periodo è pieno di emozioni (sia negative che positive), di nuove scoperte, nuove amicizie e tantissime cavolate. Sei a metà tra un adulto e un bambino, quindi per certe cose sei “troppo piccolo" mentre per altre “troppo grande”. Gli amici iniziano a diventare il “centro” della vita: si preferisce stare con loro perché, rispetto agli adulti, da loro ti senti più compreso.

In questi dieci anni ti aspettano scelte molto importanti, che determinano il tuo futuro (come la scelta della scuola superiore).

Gli adulti descrivono questo come il periodo migliore della vita, perché si è spensierati e giovani; spero che anche per me siano gli anni migliori.  

Anonima1



QUANTI CAMBIAMENTI!

Se penso a come mi vestivo e come mi comportavo 3 anni fa non riesco a riconoscermi. Fino a 2 anni fa il mio modo di vestire era più pensato per sentirmi comoda: indossavo pantaloni della tuta scelti da me e felpe colorate che i miei parenti mi regalavano. Oggi invece cerco sempre pantaloni di colori freddi.

Ricordo che quando ero alle elementari per me era come commettere un reato dire una parolaccia, invece oggi, sentendole sempre pronunciare dalle persone che mi circondano, a volte me ne scappa una, se sono arrabbiata.

Quando devo cominciare un discorso dico spesso parole che nel contesto non servirebbero però sono abituata a dirle.

Quando ero piccola, a volte, prima di andare a scuola (dato che non era probabilmente un mio grande interesse), non mi lavavo il viso e mio padre me lo faceva notare perchè nel contorno della bocca ero sporca del latte bevuto a colazione, ma dato che ero quasi arrivata al cancello della scuola non potevo farci niente. Se succedesse ora una cosa del genere mi vergognerei così tanto che non potrei nemmeno farmi vedere dalle mie amiche più strette.

Non so proprio cosa mi era saltato in mente 2 anni fa quando mi ero tagliata i capelli a caschetto sembravo la copia “uscita male” di Justin Bieber. Come mi era venuta un’idea del genere!!!??? Oggi non mi farei mai i capelli così, preferisco che mi arrivino almeno alle spalle e che mi stiano dritti come a certe ragazze della mia scuola.

Anche i passatempi si evolvono. Come sport pratico pallavolo perchè con il passare del tempo ho capito che volevo fare uno sport dove si fa lavoro di squadra piuttosto che uno sport dove devo pensare solo a me stessa. Una volta non potevo ascoltare la musica che mi piaceva perché mio padre metteva nella cassa solo quella che piaceva a lui cioè quella degli anni ‘70. Ora avendo un mio telefono e delle mie cuffiette posso ascoltare ciò che voglio cioè i rapper come Shiva e Central Cee oppure generi musicali più incentrati sulla musica rock sempre attuale.

Una volta non mi piaceva guardare serie tv o film, mi interessava solo “Striscia la notizia” oppure i cartoni animati come i “Teen Titans” oppure “Lo Straordinario Mondo di Gumball”; invece adesso guardo ogni giorno delle serie horror americane oppure film che documentano le vite di rapper prima del loro successo, come ad esempio Eminem.

Dato che la mia adolescenza durerà ancora quasi 10 anni credo che cambierò ancora. Ma per adesso sono così , felice di aver modo di conoscermi meglio.

Anonima2


sabato 25 marzo 2023

Mai più principessa!

Fin da piccola sono stata abituata a indossare abbigliamento pratico.

Il mio armadio straripava di jeans, in una scala di colori che andava dal classico blu fino ad arrivare al giallo. C'erano tutti i modelli, da quello a zampa a quello skinny, da quello strappato a quello brillantinato, poi leggins in grande quantità, ottimi per l'asilo, perché, secondo mamma, erano pratici e non limitavano i movimenti. In realtà a me stringevano e pizzicavano, ma ero troppo piccola per avere voce in capitolo.  Nell'armadio inoltre c'erano T-shirt e felpe da vendere e una gonna, che dopo avermi vista con le gambe all’aria, era stata cacciata nell’angolo più sperduto dell’armadio.

Mamma per tutto il periodo dell’asilo mi vestiva a strati quindi uscivo di casa che sembravo l’omino Michelin, ed era più il tempo che passavo davanti all'armadietto per spogliarmi che quello dentro in classe.

Finalmente sono cresciuta e ho iniziato le elementari; ero consapevole di quello che indossavo e ho iniziato ad impormi: "Questo lo metto, questo non mi piace, questo è troppo caldo, questo è troppo leggero...” quindi non sembravo più l’omino Michelin.

Poi è successo che mia mamma ha aperto un negozio di abbigliamento 0-17 anni proprio davanti alla scuola. E CHI E' DIVENTATA IL SUO BIGLIETTO DA VISITA?? NATURALMENTE IO! Ha iniziato a riempirmi gli armadi di capi che spaziavano dallo stile rock, all’etnico al romantico.

Credevo di aver raggiunto la mia indipendenza “vestiaria”, ma mi ero fatta fregare da mia mamma che continuava a farmi notare che tutte le mie amiche si vestivano ancora da bamboline con fiocchi abbinati tra i capelli e le Lelly Kelly. Presa dallo sfinimento e dallo stordimento a giugno, tre giorni prima della fine della scuola, ho indossato un paio di pantaloni a palazzo, lunghissimi e larghissimi a righe blu e bianche con un fiocco in vita, una maglia abbinata blu con spalle scoperte e scarpa da ginnastica perché le ballerine erano OFF LIMITS.

A giugno, a scuola, ci permettevano di non indossare il grembiule per il caldo così avrei potuto sfoggiare l’outfit di punta di quel periodo nel negozio di mia mamma.

Durante la ricreazione, VUOI NON GIOCARE CON I TUOI COMPAGNI??

VUOI FARE LA BELLA STATUINA PERCHE’ INDOSSI UN OUTFIT DA CERIMONIA? NO, CORRIAMO COME CAVALLI PAZZI IN GIARDINO… peccato che i pantaloni fossero talmente lunghi che correndo li  ho calpestati e mi sono trovata in volo a planare in mezzo l’erba. Volevo sprofondare perché naturalmente ho fatto una caduta stile pagliaccio al circo e i gli altri bambini non aspettavano altro, per potermi prendere in giro e ridere. Io ho riso un po’ meno: metatarso rotto e mezza estate con il gesso.

Mi è bastato provare ad essere "principessa" per un solo giorno,  poi sono tornata ad essere me stessa: JEANS E FELPA!

Sofia Pizza IIIDS

Perché? Perché proprio io?!

In quel momento avrei voluto sparire, sprofondare, diventare invisibile o tornare indietro nel tempo.

Già... sto parlando di quel giorno in cui sentii il mio nome provenire dalla bocca della professoressa seguito dalla frase “sei interrogata”.

Penso sia scontato dire che quel giorno non ero preparata, a malapena sapevo l’argomento dell’interrogazione.

Iniziai a sentire caldo, stavo sudando e provavo un’ansia indescrivibile.

Erano le 10.15 e la prof. fece la prima domanda. 

Mi sembrava che le orecchie cominciassero a stringermi il cranio. Scottavo.

In quel momento il mio unico pensiero era “Perché non ho studiato??” "Perché ha chiamato me? PERCHE’?!”

Mentre stavo cercando di ricordare qualcosa per riuscire a rispondere, sentii: “Alessia, parlami di…” 

Era come se fossi sott’acqua, dentro una cupola che mi impediva di pensare. 

Il mio cervello non funzionava. 

Mentre tutti mi guardavano, io provavo solo imbarazzo. Probabilmente stavano pensando che ero una sfaticata, che non studiavo e tutto ciò mi faceva sentire ancora più a disagio.

Avevo gli occhi dei miei compagni  puntati addosso. Perchè? Perché mi guardavano? Perché i loro sguardi condizionavano le mie emozioni?

Quel giorno finì con un “impreparato” in scienze e con tanti sensi di colpa che provo ancor oggi. 

Questa figuraccia rimarrà, per sempre, impressa nella mia mente.

Alessia Birjovanu IIIDS

Tutta colpa delle carote!

E'  passato un po’ di tempo da quel giorno, ma ancora lo ricordo come fosse ieri!

Non sono una persona a cui piace mettersi in mostra ma quel giorno a scuola durante la pausa pranzo, in mensa, successe qualcosa che cambiò la mia reputazione per un bel po’.

Era il giorno di rientro, e come sempre, uscita dalla classe, mi sono avviata a passo veloce con i miei amici verso la mensa per sederci al nostro solito tavolo. 

Eravamo in sei: io, la mia migliore amica e altri miei compagni più fidati.

Come al solito abbiamo preso il vassoio e tra sgambetti, spinte e corsette ci siamo messi tutti in fila. 

Il menù di quel giorno era: pasta in bianco (che successivamente venne ricoperta da una montagna di formaggio grana che “Everest” scansati proprio) poi fesa di tacchino e carote tagliate a bastoncino (maledette carote!). 

La mia dentatura, allora, non era tra le migliori, mi mancavano i denti davanti e non so perchè ma quel giorno mi inventai di fare una cosa che era meglio non facessi: con le mani presi alcuni bastoncini di carota e iniziai, senza dare troppo nell’occhio, ad infilarmeli tra le fessure dei denti mancanti.  Quando fui sicura che non cadessero mi girai verso la mia migliore amica, la chiamai colpendole la spalla con un dito e quando lei si voltò verso di me le sorrisi con "la mia nuova dentatura", facendo uno strano verso, tipo “ghigno malefico”. Lei mi guardò dapprima seria, poi esplose improvvisamente in una simpatica e forte risata che fece girare tutti verso il nostro tavolo; pure io, che mi ero già dimenticata delle mie condizioni, mi girai verso gli altri ridendo e mostrando i miei denti di carota. 

Diventai così la protagonista di una situazione a dir poco imbarazzante. 

La mia faccia divertita, quando realizzai che il motivo del loro divertimento ero io, si trasformò in una faccia da funerale.  Le carote iniziarono a cadere una ad una, mi rimisi seduta composta e feci finta di niente fissando il piatto e sentendo le orecchie bruciare per l’imbarazzo. 

I miei amici invece di “consolarmi” continuarono a ridere e a prendermi in giro.

Da quel giorno per un bel po’ di tempo tutta la scuola mi conosceva come “il tricheco dai denti arancioni” e da lì non mangiai né toccai più carote in mensa. Ancora oggi ripensando a quel giorno mi sento in imbarazzo.

Anonima 

giovedì 6 ottobre 2022

Kamishibai: racconti in valigia

Il kamishibai, dal giapponese kami (carta) e shibai (teatro), è un teatro itinerante di immagini e parole che ebbe grande diffusione fra il 1920 e il 1950.

Il narratore si spostava in bicicletta di villaggio in villaggio portando sul portapacchi una cassetta di legno, simile a una cartella scolastica. Una volta aperta si trasformava nel proscenio di un teatrino sul fondo del quale scorrevano le immagini di personaggi e ambienti, disegnati su cartoncini rettangolari.

Il narratore raccontava storie che avevano come protagonisti animali, mostri, personaggi fantastici,  bambini e a volte suonava strumenti a percussione o piccoli gong montati sulla bicicletta.

L'usanza del kamishibai è stata quasi del tutto soppiantata dall'arrivo della televisione negli anni Cinquanta, ma è stata recentemente rilanciata nelle biblioteche e nelle scuole giapponesi.


Anche noi abbiamo voluto provare ad inventare dei racconti, illustrandoli e dandogli voce e suono, attraverso il nostro piccolo teatro di legno. 


IIAL

lunedì 5 ottobre 2020

"Verranno le dolci piogge" di Ray Bradbury (1950)



Agosto 2026
La città di Allendale in California è stata rasa al suolo da una guerra nucleare; solo un'abitazione è rimasta in piedi di tutta la città...

mercoledì 25 marzo 2020

I nostri amici animali


Pongo è un Bichon Havanais. 
La caratteristica tipica di questi cani è il folto e morbido manto bianco, e gli occhi che sprigionano dolcezza e simpatia al tempo stesso.
Pongo è un giocherellone ed è un ottimo cane da compagnia. E' vivace, energico ma anche un po' fifone.
C'è da dire però, che inizialmente non era così...
Nel momento in cui siamo andati a prenderlo a Treviso, quando io avevo sei anni, il cucciolino ha tanto sofferto  il distacco dai suoi genitori e dai suoi fratelli.
Appena portato a casa lo ritrovavo spesso sotto il letto, nascosto da tutti, spaventato dal posto per lui "estraneo". 
Noi lo abbiamo accudito e coccolato come fosse un membro della nostra famiglia, facendolo sentire sempre più a suo agio: la nostra casa è diventata così, in poco tempo, anche la sua casa!
Gianmaria




Prima di “incontrare” il mio cane avevo altri due cani, però vivevano da mia nonna e poi sono morti.
Mia mamma ed io volevamo un cane e siamo andati a cercarlo sugli annunci in facebook. Quello che ci colpì, di quello che poi è diventato il nostro cane , è stato lo sguardo, che era molto bello.
Mia mamma pensava fosse un meticcio ed era anche un po’ riluttante perché era un maschio, però alla fine lo prendemmo. Non mi piace parlare così del mio cane perché non e’ un oggetto. Non mi piace dire che “l’abbiamo preso”, preferisco dire che l’abbiamo adottato.
Il mio cane in realtà è di razza.
E’ uno xoloiztlecuintle, un cane nudo messicano. Aslan, così si chiama il nostro cane, dovrebbe essere senza pelo, ma per una questione genetica è nato col pelo ( circa un terzo della cucciolata nasce col pelo) e ne perde più di un cane normale.
Siccome Aslan aveva il pelo non era commerciabile se non per la riproduzione e quindi ci hanno fatto pagare solo le spese veterinarie... quelli senza pelo costavano molto di più!.
Il mio cane e’ un cane “primitivo” perché conserva i tratti più antichi della sua razza ed è il cane più antico al mondo. La sua razza discende dagli antichi cani aztechi, che venivano usati per scaldarsi e venivano anche mangiati.
Fin da quando mia mamma l’ha portato a casa, io e lui siamo stati buoni amici.
All'inizio non si faceva fare le coccole ma dopo e’ diventato un coccolone e ora ogni momento è buono per farsi fare le coccole.
Nonostante il suo abbaiare sia molto forte non si è mai dimostrato un cane aggressivo, anche se alcune volte mi ha ringhiato, ma solo perché aveva paura. Ha paura quando si cerca di toccarlo in uno spazio ristretto.
Mia mamma gli prepara il cibo. Non gli diamo le crocchette, primo perché non gli piacciono e secondo perché noi pensiamo che non siano salutari.
Ieri Aslan ha compiuto tre anni!
Gli voglio molto bene!
Michele


Un giorno, quando ero in seconda elementare, sono tornata a casa da scuola e mia mamma mi aveva fatto un regalo:  una cucciola di cocker nero, che io ho chiamato Holly, prendendo il nome da un cartone animato.
Holly ama stare all'aria aperta e quando arriva l'estate si distende al sole come una lucertola. D'inverno, invece, viene sotto le coperte con noi.
Lei  è giocherellona e dolcissima, ama fare passeggiate al mare e bagnarsi... è una cagnolina che si sa tenere molto pulita.
Holly è anche tanto golosa, infatti se hai del cibo in mano ti si piazza davanti e fa gli occhi dolci... è impossibile resisterle!
Anche se a volte Holly mi fa i dispetti,  io penso che lei sia magnifica, non la scambierei con nessun altro cane a mondo!
Ginevra

Mancava poco a Natale, io e la mia famiglia stavamo aspettando una cagnolina.
Il 23 dicembre del 2012 è successo: è arrivata una shih tzu bianca e nera, di neanche un mese, la nostra Lula.
Quando è arrivata, per me è stata una gioia immensa. 
Mio papà l'ha messa sul divano e lei, poverina, era molto impaurita. 
La nostra gatta Minù ha voluto subito chiarire che quello era il suo territorio. Infatti i primi giorno, tra cane e gatto è stata una lite continua, ma adesso convivono in armonia, ovviamente ogni tanto bisticciano, ma tra cane e gatto è perfettamente normale.
Lo scorso 9 novembre Lula ha compiuto sette anni, che purtroppo, per i cani, è metà vita.
Lei ultimamente è molto contenta, visto che, a causa della quarantena, passiamo più tempo a casa e quindi con lei. Le piace tantissimo giocare a "riporta la palla"
Lula è molto curata. La laviamo periodicamente e la portiamo a tagliare il pelo, visto che ne ha tanto. E' una cagnolina mansueta: morde raramente, solo se è impaurita.
Non potrei desiderare nessun altro cane: io l'adoro!
Thomas




Io desideravo tanto avere un cagnolino, pur avendo già un gatto e due pesci.
I miei genitori, però, non volevano adottarne uno... fino alla sera del 31 ottobre 2016.
Dopo la festa di Halloween, mio papà è tornato dal lavoro e mi ha detto che aveva una sorpresa per me.
Siamo partiti (io non sapevo cosa stesse per succedere) e siamo arrivati in un posto che non conoscevo. Scesa dalla macchina, ancora non capivo perché mi trovassi lì.
Ci accolse una signora che mi chiese se il cagnolino fosse per me.
Guardai mio padre con gli occhi sbalorditi, e proprio in quel momento mi resi conto che il mio sogno, di avere un cane, si sarebbe avverato.
Siamo entrati in uno stanzino, dove c'era una cagnolina con i suoi cuccioli.
La signora me ne fece scegliere uno.
Tra tutti scelsi quello che mi colpì subito: era il più cicciotello, con il pelo bianco e nero ricciolino. A guardarlo sembrava proprio simpatico.
Dopo averlo portato a casa ero così felice che ho pianto dalla gioia.
Sono trascorsi tre anni e mezzo, ora il mio cagnolino, che ho chiamato Pino, è cresciuto molto. E' giocherellone e con lui mi diverto un sacco.
Ricorderò per sempre quella sera in cui lo presi in braccio per la prima volta: il cuore mi batteva all'impazzata ed ero molto emozionata.
Maya

Circa un anno fa, il mio cane Charli se ne è andato. Da settimane stava molto male, non mangiava, non beveva, ormai non faceva più niente: era un vegetale. Dopo una lunga e sofferta decisione, lo abbiamo portato dal veterinario "a fare la puntura". Lo abbiamo fatto per il suo bene, non volevamo che soffrisse ulteriormente.
Io ero distrutta, piansi tantissimo: lui era perfetto e io gli volevo un sacco di bene.
Un giorno i miei genitori trovarono in facebook un annuncio nel quale si offrivano dei cuccioli di cane.  Loro si sono messi subito in contatto con la proprietaria della cucciolata e poi siamo andati a Motta di Livenza per prendere la nostra nuova cagnolina. Me ne sono innamorata subito. Non mi dimenticherò mai il giorno in cui l'ho vista per la prima volta.
Lei è nera con le zampe e il musetto bianco.
L'abbiamo chiamata Kaila.
Quando l'abbiamo portata a casa era piccolissima.
Con lei mi diverto sempre: la porto a spasso, la faccio giocare... Siamo stati fortunati a trovarla: ci ha cambiato la vita, rendendola migliore, le vogliamo bene e lei ci vuole bene.
Il mio Charli, anche se non c'è più, rimane comunque dentro il mio cuore: non dimenticherò mai i bei momenti trascorsi con lui e non mi dimenticherò mai di lui.
Aurora


Sono passati ormai sette anni dal giorno in cui ho portato a casa il mio gatto.
Lui ha il pelo grigio con delle sfumature nere e si chiama Felix.
La sua storia è molto triste: era stato gettato, insieme ai suoi quattro fratelli, in un cassonetto dell'immondizia...
Quando lo abbiamo portato a casa si è subito adattato, e man mano che cresceva diventava sempre più coccolone e dispettoso.
Quando siamo in giardino ci segue sempre: vuole sempre stare con noi.
Di notte dorme in casa, ha la sua cuccia, ma ogni tanto viene a dormire con me o mio fratello.
Lui è il primo animale che "possiedo", gli voglio molto bene e spero che viva a lungo... tanto che siccome si dice che i gatti hanno sette vite, io spero che non gli succeda mai niente, in modo tale che non inizi il conto alla rovescia!
Davide

Il 27 gennaio del 2019, io e la mia famiglia siamo andati a prendere la nostra cagnolina Daisy.
Ci abbiamo impiegato un'ora e mezza in macchina, per arrivare dove viveva. La sua prima famiglia ci ha accolti e fatto "conoscere" la cucciolata.
All'inizio Daisy era molto diffidente e un po' spaventata, ma dopo aver preso un po' di confidenza, ha iniziato a scodinzolare e a farsi accarezzare. Daisy era tenerissima, piccola e vivace.
Dopo un'oretta siamo tornati a casa con la nostra nuova cagnolina.
E' ormai da più di un anno che Daisy sta con noi. E' cresciuta molto in fretta e abbiamo instaurato un bellissimo rapporto: giochiamo a calcio insieme e ci facciamo i dispetti a vicenda.
Sono davvero contenta che questa furbacchiona faccia parte della mia famiglia!
Marco


Era da tempo che io e mia sorella "stavamo studiando" come  rendere felice un porcellino d'India: come nutrirlo, come inserirlo in un nuovo ambiente, come non farlo sentire solo...
Un giorno dopo tanto "studio" i nostri genitori hanno deciso di comprarcene uno. Era il 29 giugno 2018.
Nel negozio di animali c'è stato il nostro incontro speciale, anzi specialissimo: amore a prima vista.
Era da tempo che pensavo a un nome adatto a lui e finalmente avevo trovato quello giusto: Pringle.
Quando lo abbiamo portato a casa, lui era un cucciolo di un mese circa: un batuffolo nero con qualche macchia marrone, un musetto meraviglioso e dolce.
Da quel giorno io e mia sorella gli abbiamo insegnato tutto quello che si può insegnare a un cucciolo di porcellino d'India. Inizialmente passavamo circa cinque ore a fargli compagnia, affinché si abituasse a noi (come c'era scritto in internet).
Insomma abbiamo passato un sacco di tempo ad accudirlo, come fosse un bambino, e lo abbiamo visto diventare sempre più grande e sempre più bello.
Ora Pringle ha due anni, è un po' pigro ma meraviglioso e desideroso di attenzioni come sempre.
Irene

Ho sempre avuto il sogno di avere un cane. Mia mamma,da piccola, ha avuto molti cani, ed io sono amante degli animali proprio come lei.
Per molto tempo ho sperato che mio papà mi facesse questo regalo. Gli dicevo spesso come me lo sarei immaginato questo animale: cicciotello, con il muso schiacciato...Con mio fratello cercavamo in internet foto di cani che ci piacevano e dopo tante ricerche mi sono innamorato di un bulldog francese.
Ho insistito tanto per averlo. Papà mi promise che se l'anno scolastico fosse andato bene, me l'avrebbe preso.
Così è stato e nell'estate del 2016 è arrivato Oscar. Era piccolo, indifeso e dolcissimo... è stato amore a prima vista.
Per me è una gioia averlo a casa!
Samuele

lunedì 10 febbraio 2020

Testo umoristico: la fratellanza


Giovanni e Paolo sono due fratelli gemelli che si assomigliano in tutto: nell'aspetto, nel modo di vestirsi e nella voce. Entrambi portano gli occhiali dello stesso colore… però nel carattere sono tutto l’opposto: a Paolo piace tecnologia ed è un genio in scienze, storia e musica; invece a Giacomo piace ginnastica ed è bravo in geografia, italiano, arte e grammatica. Un giorno i due gemelli arrivarono in ritardo a scuola e la professoressa Rossi Rosa, la prof. di Paolo, prese Giacomo urlando: “Paolo, sei in ritardo! Domani mi farai vedere la giustificazione!” “No… aspetti io non sono chi crede che lei sia.” Disse Giacomo. Quando Paolo cercò di intervenire il prof. di ginnastica - di Giacomo però - lo prese di colpo stritolandogli il polso con la sua forza bruta. Il prof. era un omone grande e grosso però con una vocina stridula: “Ehi campione, per fortuna non sei assente!” “Cosa io n-…” “Vedo che, però non hai la sacca!” lo interruppe il prof. “Oh… oh, siii… l’ho dimenticata cavoli!” “Tranquillo campione, ho le scarpe dimenticate di qualcuno Usa quelle” “Oh, bello.” Disse Paolo a malincuore. Intanto Giacomo veniva interrogato in storia. “Paolo stai facendo scena muta!!!” urlò la prof, quando Giacomo stava per rispondere si ricordò di tutte le volte in cui Paolo si vantava dei suoi voti. “Prof ecco senta…” “Cosa?” Giacomo sganciò uno scorreggione. La prof divenne pallida e con voce tremante disse: “Paolo, 4 e nota disciplinare.” Giacomo rideva con gusto. Paolo, in palestra, stava giocando a staffetta quando si ricordò di tutte le volte in cui suo fratello gli diceva che era una schiappa a ginnastica. Così quando gli arrivò il testimone rimase immobile e urlò al prof: “Aiuto, non riesco a muovermi.” “Che succede Giacomo?” chiese il prof “Non riesco a muovermi.” E quando il prof si avvicinò Paolo gli diede un calcio negli stinchi “Ooooh… bene, Giacomo nota disciplinare!”. Finita la scuola quando la mamma andò a prendere i due gemelli disse: “Bene… vedo che entrambi avete preso delle note.” “COSA???”

Alessandro Gabrielli IIC

lunedì 17 dicembre 2018

SOS Magia di Natale


Voi pensate davvero che il Natale sia sempre stato la festa più amata da tutti? No cari miei, non è sempre stato così! In molte famiglie, compresa la mia, ad esempio, non si è festeggiato per molto tempo! Mia madre pensava che il Natale fosse una festa inutile e mio padre continuava a negare l’esistenza di Babbo Natale. Io quindi, fino a quando non raggiunsi l’età della ragione, non sapevo nemmeno che esistesse il Natale. Poi successe una cosa strana… Era il 24 dicembre e, mentre i miei genitori dormivano, sentii un rumore provenire dal corridoio. Mi alzai e scorsi una grande ombra avanzare. Avvicinandomi vidi un grosso signore anziano, vestito di rosso, con una barba bianca, lunghissima. Stavo per correre dai miei genitori, pensando che fosse un ladro, quando, nella foga della fuga, inciampai. Quell'uomo mi sollevò da terra. Toccando la sua mano io capii che quello era davvero Babbo Natale e sentii potentissima tutta la magia della festa. Gli raccontai che nella mia famiglia non si era mai festeggiato il Natale. Lui già lo sapeva (anche senza letterina), e per farmi recuperare il tempo perduto, mi chiese se volessi aiutarlo quella notte a portare a termine le sue consegne. Risposi subito di sì, e così viaggiai in tutto il mondo in una sola notte, concludendo il mio giro al Polo Nord, proprio a casa di Babbo Natale. Babbo Natale, quella notte, mi fece un regalo molto speciale: mi diede il dono di infondere, con un solo soffio, la magia della festa, nei cuori di tutte le persone scettiche. Lo faccio ancora oggi, ovviamente di nascosto, senza che vi possiate accorgere. Comunque potete provare a scovarmi: sono forse quell'uomo che sta starnutendo? Quello che soffia sulla cioccolata calda? O quello che si sta scaldando le mani alitandoci sopra? Chissà, forse non sono solo, forse siamo tanti: ecco allora da dove arriva tutta questa magia di Natale!

IIIBL

domenica 16 dicembre 2018

La storia di Stille Nacht



Stille Nacht! Heilige Nacht!
Alles schläft, einsam wacht…
Silent night, holy night
all is calm, all is bright…
Notte silenziosa, notte santa!
Tutto è calmo, tutto è luminoso…

Chi non conosce questa canzone? È una delle più famose e più conosciute canzoni di Natale ed ha una storia originale.
Era il 1818. Nel paesino di Obendorf, nelle Alpi austriache, si stava preparando il Natale. Mancavano pochi giorni ormai alla festa, quando il parroco, Jose Mohr si accorse che l’organo era rotto e che gli spartiti erano stati rosicchiati dai topi.
Era dispiaciuto e non si rassegnava al fatto che non si potesse suonare una canzone nella notte di Natale.
Quella notte venne chiamato improvvisamente a battezzare un bimbo nato per miracolo. Mentre camminava, si incantò ad ammirare la neve, le stelle brillanti, il silenzio incredibile e la bellezza della natura gli ispirò dei versi.
Portò la sua poesia al maestro del villaggio Franz Gruber, che conosceva la musica e sapeva suonare l’organo. All'inizio il maestro non voleva accettare la richiesta del cappellano: come si poteva comporre un canto in un giorno? Ma Jose Mohr riuscì a convincerlo e così Franz Gruber ideò la melodia per i versi scritti dal sacerdote.
E fu così che nella notte della Vigilia, nella Chiesa di San Nicola, al suono della chitarra, per la prima volta fu suonata Stille Nacht. Era così bella che si diffuse ben presto in tutta l’Austria. Stille Nacht è stata tradotta in molte lingue, e ancora adesso è una delle canzoni più amate e più suonate del periodo natalizio.

 IAL

Il palloncino dell'amicizia


In una calda giornata di giugno, un giovane contadino ungherese, Borbèly, trovò in un solco un palloncino verde. Incredulo, lo raccolse per poi darlo alla figlia Veronika, che sarebbe stata felicissima. Infatti, pur essendo una brava bambina, non aveva molti giochi. Il contadino legò il palloncino al ramo di un albero e continuò il suo lavoro.
Di ritorno dal mercato, Veronika si accorse del palloncino e iniziò a giocarci finché non si impigliò su un ramo e scoppiò. Lei ci rimase male, ma non ebbe nemmeno il tempo di piangere perché si accorse che all'interno di esso c'era un bigliettino.
I suoi genitori lo lessero, tuttavia, nessuno riuscì a capire cosa ci fosse scritto.
Trascorsi alcuni giorni compresero che il palloncino veniva dall'Italia e scoprirono che apparteneva ad un bambino: Danilo Amati. Decisero di scrivergli. Danilo appena ricevette la lettera, ovviamente, non ci capì niente perché il messaggio era scritto in Ungherese.
Il bambino corse subito da Don Acciai, un prete molto dinamico e attivo, per cercare di tradurre la lettera. La lessero, ne fecero una traduzione e inviarono una risposta. I due ragazzi continuarono a scriversi per ben sei mesi e alla fine vollero "incontrarsi".
Veronika e Danilo, proprio la vigilia di Natale, di quello stesso anno, ebbero la gioia di vedersi tramite video, e questo fu uno dei regali più belli ed eccezionali che potessero desiderare.
I due bambini erano stati uniti dalla capricciosa traiettoria del palloncino: chi l'avrebbe mai detto che il messaggio contenuto all'interno di un palloncino potesse accorciare le distanze e far nascere una nuova amicizia!

IBL

domenica 9 dicembre 2018

8 Dicembre: l'Albero di Natale


Sono sempre vissuto in montagna, isolato.
A farmi compagnia c’erano solo gli animaletti del bosco: gli uccelli che mi raccontavano il mondo visto dall'alto, i topolini che mi raccontavano il mondo visto dal basso e gli scoiattoli che mi raccontavano il mondo dall'alto e dal basso. Erano molto simpatici, mi facevano compagnia, ma anche una grande invidia: perché io quel mondo non lo potevo vedere.
Noi alberi siamo così: rimaniamo immobili, sempre lì nel posto dove siamo nati. 
Spesso le volpi e i caprioli mi parlavano di un animale, che io non avevo mai visto. 
Dicevano fosse malvagio: sparava, feriva, cacciava. Perciò, tutto sommato, stare fermo in quel posto non era così male, ero al sicuro: lì l’uomo non c’era mai stato. 
Ma un giorno di novembre tutto cambiò…
Mi svegliai a causa di un forte rumore, guardai in basso e vidi sotto la mia chioma degli esseri, che dalla descrizione fatta dai miei amici animali, sembravano uomini. 
Dalla paura svenni: non sono mai stato coraggioso e tutto quello che è nuovo mi spaventa tantissimo.
Appena mi risvegliai mi accorsi che mi avevano legato e incappucciato, disteso dentro qualcosa di freddo che faceva un gran fracasso e si muoveva. In realtà non ero ferito e per la prima volta in vita mia potevo anche muovere i piedi. 
Ad un certo punto, finì il movimento e si arrestò il dondolio: tutto faceva presagire che quella fosse la mia fine. Udii un tonfo, mi sentii sollevare in verticale e i miei piedi sprofondarono in una terra soffice e ricca. 
Mi tolsero il cappuccio e le corde, mi diedero da bere e mi guardai attorno: ero in un luogo strano, circondato da un sacco di piccoli uomini che sembravano felici. Attorniato da una foresta di pietra, sentivo nell'aria nuovi e dolci profumi. Anch'io ora stavo ammirando il mondo.
C’era tanta vita attorno e tutti si prendevano cura di me: appesero ai miei rami molte sfere colorate simili a grandi bacche, frutti e pigne, poi delle bellissime stalattiti e mi avvolsero tutto il corpo con soffici liane. Lo fecero gentilmente, accarezzandomi: forse non tutti gli uomini sono pericolosi.
Nei giorni successivi l’atmosfera diventò ancora più magica: le persone cantavano tutte insieme come gli uccellini e sorridevano.
 Non mi ero mai sentito così tanto amato.
Una sera successe una cosa bellissima: tutti si disposero attorno a me, in una specie di girotondo, mi guardarono con trepidazione e… 3-2-1 accesero le stelle con cui mi avevano ammantato.
In quel momento tutti si scambiarono un
“Buone feste”,
non so di preciso cosa voglia dire
forse che è bello
gli altri
amati far sentire.

IIAL

lunedì 23 aprile 2018

L'Italiano: una lingua come mezzo di integrazione e di libertà



racconto ispirato dal romanzo


In questa palazzina di Trieste non c'è niente che sta al posto giusto.

Siamo tutti immigrati e c'è solo un italiano: il signor Rosso, che è razzista. 
Il signor Rosso non va d'accordo con nessuno, ha una casa molto sporca, beve e fuma da mattina a sera.

Al primo piano abitano dei cinesi che lavorano in un ristorante e la loro casa è arredata con pezzi di riciclo del locale.
Il signor Rosso da poco ha perso i suoi gatti, non li trova più e quindi accusa i cinesi, perché pensa che loro li abbiano mangiati.

Ce l'ha raccontato Bocciolo di Rosa... Noi donne del palazzo stiamo diventando amiche, ci aiutiamo nelle cose di ogni giorno e abbiamo deciso di imparare l'italiano, quindi abbiamo fatto una colletta per pagare un'insegnante che ci aiuti: per integrarci dobbiamo conoscere la lingua del paese in cui abitiamo.

Da qualche giorno un problema ci accomuna tutti (noi stranieri e anche il Signor Rosso): il padrone del palazzo, il signor Zacchigna, è morto e gli eredi vogliono vendere lo stabile. Siamo tutti nei guai, dove andremo ad abitare?!

La storia continua... leggete il libro!

Jona Buoso, IIBL

Qualcosa (di Chiara Gamberale) per la Giornata Mondiale del libro


In  un regno, da un re e una regina nacque una bambina: Qualcosa di Troppo.
Un giorno, quando Qualcosa di Troppo, aveva tredici anni, la madre morì.
La ragazzina scappò in collina per sfogare, urlando, tutta la sua disperazione. Lì conobbe il Cavalier Niente che rimproverò Qualcosa di Troppo perché le sue urla lo distraevano dal suo non fare niente. La principessa si offese: il suo dolore non veniva rispettato, lei aveva un buco nel cuore.
Il Cavalier Niente le suggerì di non far nulla per guarire,  ma Qualcosa di Troppo non seguì il suo consiglio e fece tanto, troppo per non pensare e per non sentire, fino a quando.... (continua a legger il libro!)

Carolina Ronchiato, IAL

fumetto del romanzo realizzato dalla classe IAL

sabato 13 gennaio 2018

Diario di una lezione straordinaria!


27/11/2017

Caro diario,
oggi mi è capitata una cosa che non mi era mai successa; ora te la racconto. Era l’ora di Lallo, stava spiegando un esercizio che avevo già capito.
Mi riposavo dunque, guardando la lavagna e… mi sono ipnotizzato. Mi succede spesso, però questa volta è stato diverso.
La lavagna è diventata enorme, erano spariti tutti, la mia immaginazione mi stava giocando un brutto scherzo. Un gessetto si è alzato, fluttuando nell'aria e scriveva numeri e formule, disegnava forme geometriche e risolveva problemi. Una volta riempita la lavagna, le formule hanno preso vita e volavano davanti a me: E= mC² , v=s/t, a=variazione velocità/intervallo di tempo…
Poi anche le figure geometriche: quadrato, rombo, rettangolo, trapezio, parallelogramma hanno cominciato a muoversi; ruotavano e danzavano seguendo una melodia impercettibile.
La lavagna si è poi svuotata e pian piano tutto è tornato normale… anche i miei compagni, ma le loro facce erano quelle dei più grandi matematici. Volevo tornare alla normalità e ho tentato di scuotermi, ma le cose sono peggiorate.
I numeri e le figure sono scomparse e hanno lasciato il posto alle parole, non parole qualsiasi però, ma versi della Divina Commedia, brani tratti da romanzi e tutto ciò che c’è da sapere sull’analisi logica. Stavo impazzendo? Di nuovo la lavagna è tornata normale, ma le facce dei miei compagni erano i volti dei più famosi scrittori. Era troppo, non potevo sopportare di più: odio letteratura e grammatica!!
Ma quel mondo ancora mi teneva: ero in Germania nel 1521, vicino a Martin Lutero. Buon modo per ripassare…!!
Tutto procedeva velocemente, non capivo: sapevo che ero in un sogno, però non riuscivo a svegliarmi… “Driiiinn”. Finalmente, eccomi di nuovo nella realtà!
I miei compagni mi sono apparsi uguali a loro stessi, ignari di quello che erano stati solo pochi minuti prima.
Ora ho un terribile mal di testa, inoltre non ho capito niente della spiegazione del nuovo argomento di matematica…
Pazienza, mi rifarò!!
Ti lascio, non ho più niente da dirti.
Ciao!

Mattia Gabatel IID  

venerdì 8 dicembre 2017

Le mie cadute da cavallo


La cosa più brutta, quando cadi da cavallo, non è il dolore che provi fisicamente, ma il dispiacere che avverti vedendo il tuo cavallo che ti scaraventa per terra perché ha paura di te.
Da giovane, nella mia vita di amazzone, ho fatto parecchie cadute da cavallo. Alcune erano causate da me, mentre il cavallo non era colpevole, altre erano dovute al cavallo che si comportava come un pazzo scatenato. 
La prima caduta della mia vita la feci da un asino, in un allevamento di montagna, dove io e la mia famiglia eravamo andati a pranzo. L'animale si chiamava Luiso, aveva il manto pezzato bianco e marrone. Lo cavalcai senza sella e fu proprio per quello che caddi. Non so come, l'asino si spaventò, partì in un galoppo velocissimo e io finii per terra. Poco divertente dato che, tutto sommato, avrebbe potuto anche calpestarmi.
La seconda caduta della mia vita la feci da un pony di nome Nino, anche lui pezzato. 
All'improvviso sgroppò e quindi mi scrollò di sella. 
In seguito, per circa cinque anni, non mi capitò più di risalire a cavallo due o più volte, di ritrovarmi piena di polvere e magari con un bel pestone... questo fino a quando non cambiai maneggio. 
Era il 23 aprile 2017 quando andai a fare l'esame pratico di lavoro in piano. Quella volta montai un purosangue arabo di nome Argento, ex campione di corse. Iniziai a pulirlo e in seguito a sellarlo, per poi montarlo ed iniziare l'esame d'ammissione. Andò tutto bene, ma la volta dopo iniziò il vero lavoro. La mia allenatrice mi fece galoppare senza staffe e dopo un po' mi fece superare un oxer di C90, sempre senza staffe. Feci un tale volo che, se fossi salita tre centimetri più in alto, avrei potuto togliere le ragnatele dal soffitto. Strano ma vero, atterrai in piedi. 
Da quel giorno non saltai mai un ostacolo senza staffe. 
Un'altra delle tante cadute da cavallo la feci mentre cavalcavo Vulivia, una olandese di 1.80 centimetri circa. Stavo galoppando per saltare un verticale di B100, mi tuffai prima di lei e lei si bloccò facendomi fare una giravolta in avanti e in quell'occasione sì che mi feci male alla schiena.
Le cadute successive, e anche quelle più dolorose, le feci da Jack Avril D'erminè, un sella francese di vent'anni. Era un cavallo molto allegro, che aveva partecipato a molte edizioni nazionali ed internazionali ed era un fenomeno. E, come ogni fenomeno che si rispetti, qualche volta si dimostrava imprevedibile e quindi sgroppava. Stavo procedendo tranquillamente quando tirò una sgroppata e mi scaraventò a terra. Non mi calpestò per miracolo, ma mi feci comunque male al collo. Risalii: iniziai nuovamente a galoppare, feci due giri di campo e finii di nuovo per terra. Riuscii ad alzarmi per miracolo. Montai per la millesima volta e, per fortuna, andò tutto bene. 
Ho imparato molte cose cadendo da cavallo, una delle tante è che bisogna sempre rispettare il nostro amico a quattro zampe, in qualsiasi momento; che sia vecchio o giovane non conta, poiché esso è sempre il tuo cavallo.

Battistin  Anna  IIA     

Storia di una bicicletta (quasi) rubata


Nel piccolo paesino di San Stino tutto trascorreva in modo tranquillo. Era una giornata di inizio settembre e mi stavo placidamente rilassando in camera mia, sul letto, con in mano il mio telefono.
Pensavo che tutto sarebbe trascorso tranquillamente... e invece no.                                        Mia mamma mi chiamò dal salotto, probabilmente perché doveva rimproverarmi per qualche malanno commesso in sala o altrove.
Ma non fu così: stava piegando la tovaglia in cucina e aveva un'aria parecchio strana. La guardai tranquillamente e le chiesi: "Che c'è?" come se fosse tutto normale.
"Ieri, dove hai lasciato la bici dopo aver fatto il tuo giretto?" mi domandò. 
Me lo ricordavo perfettamente: il giorno prima ero in casa a non fare assolutamente niente e, per prendere una boccata d'aria, avevo deciso di andare a fare un giro in bicicletta. Era un'uscita molto ristretta: mi ero limitato a recarmi all'oratorio passando per il campo sportivo dietro casa mia, facendo una strada che non percorrevo mai, ma che avevo seguito per il solo piacere di farlo.                           
Arrivato a casa, andai nel garage dietro la mia abitazione e la misi vicino alla porta che immetteva nelle cantine, dove sono posti tutti i meccanismi per far funzionare l'ascensore. Non avendo un lucchetto e non volendo suonare il citofono per chiamare mia madre e farle aprire il cancello del nostro "parcheggio privato", la posai lì sotto, dove la appoggio tutt’oggi.
Le risposi: "Dove la metto sempre" con un tono piuttosto seccato perché mi stava chiedendo una cosa molto stupida.
Non ero ancora a conoscenza della disavventura accaduta alla mia cara e vecchia bici.        "Perché, sai, stavo sbattendo la tovaglia e non l'ho vista" mi rispose preoccupata. 
"Ma come?" risposi, mentre mi recavo nel balconcino per verificare la sua affermazione.        Era vero, c'era solo la bicicletta di Michele nello scomparto. La cosa, però, non mi dette fastidio. Anzi, ero quasi rallegrato: il mio mezzo di trasporto a due ruote era piccolo e vecchio, di un colore rosso che mi ripugnava. Si aggiunga il fatto che, se me l'avessero rubata, ciò avrebbe significato che me ne sarei presa una nuova, una bici alta e con un cestino che desideravo moltissimo.
Tornando da lei non sapevo cosa dirle. Non potevo mica risponderle; "E vai! Finalmente avrò una bici nuova e che non faccia schifo!". No. Mi limitai ad aggiungere: "Allora me l'avranno rubata quando sono entrato in casa". Però me ne andai rallegrato: a breve avrei avuto una bici nuova di zecca che avrei usato molto di più rispetto alla precedente.
Ma non andò in questo modo, per niente.
Dopo qualche oretta, mentre ero alla scrivania col computer e mi rilassavo con la mia serie tv preferita, entrò mia madre: "Filippo, ti hanno ritrovato la bici!" disse guardando il suo telefono e me lo mise davanti alla faccia. 
Ed eccola lì a terra, la mia bicicletta, nella stradina dietro a casa mia che, strana coincidenza, avevo percorso il giorno prima.
"Davvero?" risposi. Era una domanda retorica: la vedevo con i miei occhi, mentre il mio sogno di avere una bici scintillante col cestino si infrangeva.
 "Sì, e quando arriva il papà la vai a prendere" ordinò.
Poco dopo mio padre rientrò a casa dal lavoro e ci recammo direttamente dai carabinieri.      Non ero mai entrato in quella che pensavo fosse una centrale di polizia: aveva un corridoio piccolo e stretto, con qualche sedia blu all'angolo a sinistra della porta. Andati più avanti vedemmo tre carabinieri, due uomini e una donna, che ci fissavano con un sorriso alquanto terrificante.
"Salve" cominciò mio padre "siamo venuti a ritirare una bicicletta rossa".
L'agente donna ci fece qualche domanda e poco dopo ci restituì la bicicletta. L'ultima cosa che ci disse era che se qualcuno fosse giunto per effettuare la denuncia di furto di una bicicletta, l'avremmo dovuta restituire subito.
Il che era impossibile, dato che era davvero di mia proprietà. Purtroppo.
Usciti dalla centrale, mio padre mi disse di andare a casa, mentre lui si sarebbe fermato a prendere le sigarette.
Così mi avviai verso casa. Durante il corto tragitto accesi il telefono e vidi dei messaggi, uno dei quali proveniva da mia zia, sempre aggiornata sui fatti del paese tramite Facebook e il Comune, luogo in cui lavorava.
Mi aveva mandato la stessa immagine che mi aveva fatto vedere mia madre dal suo cellulare e che ritraeva la mia bici, con sotto la scritta: "Ciao, questa è la tua bicicletta?".
Non mi ero accorto che il mio sogno di avere una bici più bella e moderna si fosse infranto molto prima che me l'avesse detto mia mamma.

Filippo Sandrin IIA