Visualizzazione post con etichetta testi autobiografici. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta testi autobiografici. Mostra tutti i post

venerdì 26 gennaio 2024

Gli amici: il centro della vita


L'adolescenza (periodo che sto affrontando, dato che comprende i ragazzi di una fascia di età tra i 10 e i 20 anni) è un’ età di cambiamenti: cambiano il tuo aspetto, i tuoi gusti, i tuoi interessi e i rapporti con le persone. Per esempio, riguardo al rapporto con i genitori, succede molto più spesso che io litighi con loro (o che gli disobbedisca). Anche con mio fratello il rapporto è cambiato: adesso è un legame di amore e odio mentre prima ci volevamo semplicemente molto bene.

Anche i gusti si evolvono. Spesso per non essere esclusi, ma anche perché si diventa più grandi. Per esempio se una volta amavo giocare con le bambole adesso preferisco uscire con le amiche; ci sono però alcuni  interessi  che rimangono sempre uguali, per esempio mi piaceva molto la danza quando ero piccola e tuttora è così.

In questa età "avviene" un fenomeno detto "conformismo": si tende a essere uguali agli altri. Infatti a quasi tutte noi ragazze piacciono le stesse cose (musica, shopping, videogiochi …) e i ragazzi hanno quasi tutti lo stesso taglio di capelli.

Inizia a cambiare anche il carattere, perché, almeno io, preferisco essere autonoma piuttosto che dover dipendere dai miei genitori costantemente. Ognuno comunque conserva la propria personalità: c’è chi è più introverso, chi più spavaldo, chi più permaloso e così via.

Questo periodo è pieno di emozioni (sia negative che positive), di nuove scoperte, nuove amicizie e tantissime cavolate. Sei a metà tra un adulto e un bambino, quindi per certe cose sei “troppo piccolo" mentre per altre “troppo grande”. Gli amici iniziano a diventare il “centro” della vita: si preferisce stare con loro perché, rispetto agli adulti, da loro ti senti più compreso.

In questi dieci anni ti aspettano scelte molto importanti, che determinano il tuo futuro (come la scelta della scuola superiore).

Gli adulti descrivono questo come il periodo migliore della vita, perché si è spensierati e giovani; spero che anche per me siano gli anni migliori.  

Anonima1



QUANTI CAMBIAMENTI!

Se penso a come mi vestivo e come mi comportavo 3 anni fa non riesco a riconoscermi. Fino a 2 anni fa il mio modo di vestire era più pensato per sentirmi comoda: indossavo pantaloni della tuta scelti da me e felpe colorate che i miei parenti mi regalavano. Oggi invece cerco sempre pantaloni di colori freddi.

Ricordo che quando ero alle elementari per me era come commettere un reato dire una parolaccia, invece oggi, sentendole sempre pronunciare dalle persone che mi circondano, a volte me ne scappa una, se sono arrabbiata.

Quando devo cominciare un discorso dico spesso parole che nel contesto non servirebbero però sono abituata a dirle.

Quando ero piccola, a volte, prima di andare a scuola (dato che non era probabilmente un mio grande interesse), non mi lavavo il viso e mio padre me lo faceva notare perchè nel contorno della bocca ero sporca del latte bevuto a colazione, ma dato che ero quasi arrivata al cancello della scuola non potevo farci niente. Se succedesse ora una cosa del genere mi vergognerei così tanto che non potrei nemmeno farmi vedere dalle mie amiche più strette.

Non so proprio cosa mi era saltato in mente 2 anni fa quando mi ero tagliata i capelli a caschetto sembravo la copia “uscita male” di Justin Bieber. Come mi era venuta un’idea del genere!!!??? Oggi non mi farei mai i capelli così, preferisco che mi arrivino almeno alle spalle e che mi stiano dritti come a certe ragazze della mia scuola.

Anche i passatempi si evolvono. Come sport pratico pallavolo perchè con il passare del tempo ho capito che volevo fare uno sport dove si fa lavoro di squadra piuttosto che uno sport dove devo pensare solo a me stessa. Una volta non potevo ascoltare la musica che mi piaceva perché mio padre metteva nella cassa solo quella che piaceva a lui cioè quella degli anni ‘70. Ora avendo un mio telefono e delle mie cuffiette posso ascoltare ciò che voglio cioè i rapper come Shiva e Central Cee oppure generi musicali più incentrati sulla musica rock sempre attuale.

Una volta non mi piaceva guardare serie tv o film, mi interessava solo “Striscia la notizia” oppure i cartoni animati come i “Teen Titans” oppure “Lo Straordinario Mondo di Gumball”; invece adesso guardo ogni giorno delle serie horror americane oppure film che documentano le vite di rapper prima del loro successo, come ad esempio Eminem.

Dato che la mia adolescenza durerà ancora quasi 10 anni credo che cambierò ancora. Ma per adesso sono così , felice di aver modo di conoscermi meglio.

Anonima2


sabato 25 marzo 2023

Mai più principessa!

Fin da piccola sono stata abituata a indossare abbigliamento pratico.

Il mio armadio straripava di jeans, in una scala di colori che andava dal classico blu fino ad arrivare al giallo. C'erano tutti i modelli, da quello a zampa a quello skinny, da quello strappato a quello brillantinato, poi leggins in grande quantità, ottimi per l'asilo, perché, secondo mamma, erano pratici e non limitavano i movimenti. In realtà a me stringevano e pizzicavano, ma ero troppo piccola per avere voce in capitolo.  Nell'armadio inoltre c'erano T-shirt e felpe da vendere e una gonna, che dopo avermi vista con le gambe all’aria, era stata cacciata nell’angolo più sperduto dell’armadio.

Mamma per tutto il periodo dell’asilo mi vestiva a strati quindi uscivo di casa che sembravo l’omino Michelin, ed era più il tempo che passavo davanti all'armadietto per spogliarmi che quello dentro in classe.

Finalmente sono cresciuta e ho iniziato le elementari; ero consapevole di quello che indossavo e ho iniziato ad impormi: "Questo lo metto, questo non mi piace, questo è troppo caldo, questo è troppo leggero...” quindi non sembravo più l’omino Michelin.

Poi è successo che mia mamma ha aperto un negozio di abbigliamento 0-17 anni proprio davanti alla scuola. E CHI E' DIVENTATA IL SUO BIGLIETTO DA VISITA?? NATURALMENTE IO! Ha iniziato a riempirmi gli armadi di capi che spaziavano dallo stile rock, all’etnico al romantico.

Credevo di aver raggiunto la mia indipendenza “vestiaria”, ma mi ero fatta fregare da mia mamma che continuava a farmi notare che tutte le mie amiche si vestivano ancora da bamboline con fiocchi abbinati tra i capelli e le Lelly Kelly. Presa dallo sfinimento e dallo stordimento a giugno, tre giorni prima della fine della scuola, ho indossato un paio di pantaloni a palazzo, lunghissimi e larghissimi a righe blu e bianche con un fiocco in vita, una maglia abbinata blu con spalle scoperte e scarpa da ginnastica perché le ballerine erano OFF LIMITS.

A giugno, a scuola, ci permettevano di non indossare il grembiule per il caldo così avrei potuto sfoggiare l’outfit di punta di quel periodo nel negozio di mia mamma.

Durante la ricreazione, VUOI NON GIOCARE CON I TUOI COMPAGNI??

VUOI FARE LA BELLA STATUINA PERCHE’ INDOSSI UN OUTFIT DA CERIMONIA? NO, CORRIAMO COME CAVALLI PAZZI IN GIARDINO… peccato che i pantaloni fossero talmente lunghi che correndo li  ho calpestati e mi sono trovata in volo a planare in mezzo l’erba. Volevo sprofondare perché naturalmente ho fatto una caduta stile pagliaccio al circo e i gli altri bambini non aspettavano altro, per potermi prendere in giro e ridere. Io ho riso un po’ meno: metatarso rotto e mezza estate con il gesso.

Mi è bastato provare ad essere "principessa" per un solo giorno,  poi sono tornata ad essere me stessa: JEANS E FELPA!

Sofia Pizza IIIDS

Perché? Perché proprio io?!

In quel momento avrei voluto sparire, sprofondare, diventare invisibile o tornare indietro nel tempo.

Già... sto parlando di quel giorno in cui sentii il mio nome provenire dalla bocca della professoressa seguito dalla frase “sei interrogata”.

Penso sia scontato dire che quel giorno non ero preparata, a malapena sapevo l’argomento dell’interrogazione.

Iniziai a sentire caldo, stavo sudando e provavo un’ansia indescrivibile.

Erano le 10.15 e la prof. fece la prima domanda. 

Mi sembrava che le orecchie cominciassero a stringermi il cranio. Scottavo.

In quel momento il mio unico pensiero era “Perché non ho studiato??” "Perché ha chiamato me? PERCHE’?!”

Mentre stavo cercando di ricordare qualcosa per riuscire a rispondere, sentii: “Alessia, parlami di…” 

Era come se fossi sott’acqua, dentro una cupola che mi impediva di pensare. 

Il mio cervello non funzionava. 

Mentre tutti mi guardavano, io provavo solo imbarazzo. Probabilmente stavano pensando che ero una sfaticata, che non studiavo e tutto ciò mi faceva sentire ancora più a disagio.

Avevo gli occhi dei miei compagni  puntati addosso. Perchè? Perché mi guardavano? Perché i loro sguardi condizionavano le mie emozioni?

Quel giorno finì con un “impreparato” in scienze e con tanti sensi di colpa che provo ancor oggi. 

Questa figuraccia rimarrà, per sempre, impressa nella mia mente.

Alessia Birjovanu IIIDS

Tutta colpa delle carote!

E'  passato un po’ di tempo da quel giorno, ma ancora lo ricordo come fosse ieri!

Non sono una persona a cui piace mettersi in mostra ma quel giorno a scuola durante la pausa pranzo, in mensa, successe qualcosa che cambiò la mia reputazione per un bel po’.

Era il giorno di rientro, e come sempre, uscita dalla classe, mi sono avviata a passo veloce con i miei amici verso la mensa per sederci al nostro solito tavolo. 

Eravamo in sei: io, la mia migliore amica e altri miei compagni più fidati.

Come al solito abbiamo preso il vassoio e tra sgambetti, spinte e corsette ci siamo messi tutti in fila. 

Il menù di quel giorno era: pasta in bianco (che successivamente venne ricoperta da una montagna di formaggio grana che “Everest” scansati proprio) poi fesa di tacchino e carote tagliate a bastoncino (maledette carote!). 

La mia dentatura, allora, non era tra le migliori, mi mancavano i denti davanti e non so perchè ma quel giorno mi inventai di fare una cosa che era meglio non facessi: con le mani presi alcuni bastoncini di carota e iniziai, senza dare troppo nell’occhio, ad infilarmeli tra le fessure dei denti mancanti.  Quando fui sicura che non cadessero mi girai verso la mia migliore amica, la chiamai colpendole la spalla con un dito e quando lei si voltò verso di me le sorrisi con "la mia nuova dentatura", facendo uno strano verso, tipo “ghigno malefico”. Lei mi guardò dapprima seria, poi esplose improvvisamente in una simpatica e forte risata che fece girare tutti verso il nostro tavolo; pure io, che mi ero già dimenticata delle mie condizioni, mi girai verso gli altri ridendo e mostrando i miei denti di carota. 

Diventai così la protagonista di una situazione a dir poco imbarazzante. 

La mia faccia divertita, quando realizzai che il motivo del loro divertimento ero io, si trasformò in una faccia da funerale.  Le carote iniziarono a cadere una ad una, mi rimisi seduta composta e feci finta di niente fissando il piatto e sentendo le orecchie bruciare per l’imbarazzo. 

I miei amici invece di “consolarmi” continuarono a ridere e a prendermi in giro.

Da quel giorno per un bel po’ di tempo tutta la scuola mi conosceva come “il tricheco dai denti arancioni” e da lì non mangiai né toccai più carote in mensa. Ancora oggi ripensando a quel giorno mi sento in imbarazzo.

Anonima 

venerdì 14 gennaio 2022

Tele e camaleonti: opinioni di un Anonimo sul conformismo

Il conformismo è un fenomeno che tutti vedono sotto una cattiva luce. In realtà il conformismo varia, tanto che può essere sia positivo che negativo. A parare mio lo si può sperimentare a qualsiasi età, però il periodo in cui si è più soggetti a questo processo è sicuramente quello adolescenziale. Il periodo più confusionario di tutti, quando si pensa solo ad essere accettati, inclusi nel gruppo, e se si viene rifiutati si è disposti a stravolgere il proprio carattere e il proprio fisico. Comunque credo di essere stato soggetto a questa evoluzione pure io: una volta, prima delle medie, nel gruppo di amici ero sempre solare e felice ma anche permaloso. Mentre ora sono diverso: non apatico, ma sicuramente più spento. Ciò è dovuto ai miei denti. Da piccolo li trascurai tanto, perciò si sono ingialliti e per quanto io li lavassi non sono tornati bianchi come quelli delle altre persone. Quindi ho pensato che, ridendo meno, la gente non mi avrebbe detto nulla riguardo alla mia bocca, e così accadde. Fortunatamente oggi ci sono le mascherine... Per cui mi estraneo un po' dalla comitiva di amici, ma ci sono comunque persone che mi fanno stare bene e di cui mi piace il carattere; quindi le imito. Un po’ come se io fossi un camaleonte e i miei amici una tela piena di sfumature colorate, nella quale posso mimetizzarmi. Perciò credo che il conformismo sia un qualcosa di positivo finché si mantiene un po’ della propria personalità. Invece diventa negativo quando si stravolge totalmente il proprio carattere e il proprio modo di essere. Il mio parere è che si possa essere sia tele che contemporaneamente camaleonti.


L'adolescenza e i suoi imprevisti

L’adolescenza è un vero e proprio caos: infinite emozioni invadono la mente senza farti capire più nulla… 

Rabbia e tristezza si fanno sentire sempre più frequentemente facendo volar via intere giornate, rovinandole.

Si iniziano a fare dei sacrifici, prendere delle decisioni, organizzare le giornate, prendersi cura di sé  stessi (cosa che in precedenza richiedeva il sostegno dei genitori). Insomma, si impara a vivere!

E’ il periodo dello sviluppo, quando litigi e incomprensioni sono in cima alla classifica degli imprevisti da gestire ed è proprio questa la parte complicata: il controllo delle emozioni.

Iniziamo a conoscerci veramente provando (spesso fallendo) ad accettare i propri cambiamenti fisici: il suono arzillo e squillante della voce dei bambini si trasforma in cupo e rimbombante, alcune parti del corpo si allargano accompagnate dai soliti insulti di questi tempi.

E’ il periodo della sopportazione, forse per il semplice motivo che ci rendiamo conto del vero significato delle opinioni (spesso negative) altrui e dell’importante peso che possono assumere.

Per adeguarsi a queste critiche si cerca di modificare la propria personalità e integrarsi in un gruppo. Proprio per questo durante l’ adolescenza è complicato sentirsi a proprio agio con le altre persone…

Ovviamente si cambia anche caratterialmente: i modi di fare di noi ragazzi/e è palesemente cambiato. Siamo suscettibili, facilmente irritabili e permalosi; tutto ciò perché nella maggior parte dei casi c’è una mancanza di assistenza da parte di una figura adulta. Quella dei genitori è un’altra enorme parentesi difficile da chiudere.

Ormai anche il rapporto con loro è rovinato: parecchie volte ci ritroviamo in disaccordo, situazione che porta noi giovani a fare delle scelte insensate e immature che a loro volta vengono giudicate dal mondo intero.

Non credo di aver esagerato, infatti in quest’età ci si sente sempre al centro dell’attenzione in modo costante con miliardi e miliardi di occhi puntati addosso, bocche che si aprono per contraddirti continuamente e mani pronte a spingerti in fondo a un burrone.

Per risalire questo precipizio, l’unica cosa da fare è resistere e adeguarsi al pianeta Terra e alla sua evoluzione, magari anche scivolando con un piede durante la scalata. Ma è proprio in questo momento che bisogna essere rapidi a riaggrapparsi alla parete del burrone e riprendere la salita.

Questa arrampicata per me rappresenta la crescita: dura, faticosa e colma di imprevisti, ma alla fin fine ognuno arriverà in cima.

Chiara B. IIIDS

mercoledì 3 aprile 2019

Emozioni: cotta e decotta


Caro lettore,
ci rivediamo di nuovo, eh? Sì, è vero, ti ho trascurato per un bel po' però da oggi ti scriverò più volte in vista degli esami.
Oggi non ti racconterò della mia più grande nostalgia o di un'avventura emozionante che mi è capitata: oggi ti racconterò (oh, non ci posso credere che lo sto per dire veramente) della mia prima cotta adolescenziale. Ti ho sorpreso eh? Beh, neanche io me lo sarei mai aspettata, soprattutto da me: ormoni, mi avete fatto proprio un brutto scherzo! Va beh, incominciamo.
Il momento in cui è avvenuto il fatidico bagliore (ma che bagliore! La luce di un faro!) è stato quando abbiamo fatto il concerto del coro in I media: non so come, non so cosa, non so perché ma puff! Il mio cuore ha incominciato a correre come un cavallo impazzito e sentivo la faccia surriscaldarsi: stavo arrossendo, già mi vedevo. Lui stava salendo le scale per accedere al palco del teatro con molta difficoltà in quanto si era appena operato a un ginocchio e lì è scattata la scintilla, si è acceso il fiammifero, si è appiccato l'incendio: lì il mio cervello ha fatto un passo falso. Comunque per il resto della sera l'ho aiutato e poi, durante l'estate, gli mandavo dei messaggi per chiedergli come andava. Non facevo altro che pensare a lui (bleh), ma immagino che questo accada a tutte (e a tutti).
Ma chi è questo ragazzo? Non ti preoccupare, dopo questa descrizione capirai subito, ma non rivelerò il suo nome: motivi di Privacy.
Una lunga coda di capelli lunghi e ben curati si appoggiava delicatamente sulla sua schiena; aveva degli occhi scuri e profondi e un corpo da rugbista. Basta, hai già capito chi è, non continuerò soltanto per mettermi in ulteriore ridicolo. Guarda! La mia dignità has left the game! Comunque, ai tempi, mi sembrava un modello ammaliante e super-bellissimo, anche se con lui non ci si poteva intendere: in I mi stava molto (molto, molto, molto, troppo) antipatico, non faceva altro che prendermi in giro e cercava spesso di mettermi sotto cattiva luce, invitando anche altre persone a chiamarmi con il soprannome che aveva inventato per me, ovvero “Smolliccio”. Ma la cosa peggiore era che lo incontravo dappertutto e lui mi accusava di seguirlo: assurdo! In II comunque il nostro rapporto era nel limbo: non eravamo stra-amici ma nemmeno ci odiavamo a morte.
Dopo un po' di tempo che mi piaceva mi sono abituata e sembrava tutto ok, finché quel fatidico venerdì di marzo una mia compagna di classe rivelò a tutti la mia cotta: lo urlò proprio ai quattro venti e ovviamente un altro che ne era molto amico glielo ha urlato direttamente in faccia, così, tanto per essermi d'aiuto. Non riuscivo a crederci: per il resto della giornata l'ho interrogato su quello che era successo, sulla sua reazione, credevo in una cosa che non si sarebbe mai avverata. Ah, la gioventù...
Mentre uscivamo da scuola, il mio compagno di classe è andato a chiedergli se io gli piacevo ma quando è ritornato mi ha detto le seguenti parole: “Selma, ti ha bidonato: ha detto che sei brutta come la fame”. Ero incredula (aspetta, aspetta, adesso arrivano i sentimenti), allibita, sconcertata: sentivo le lacrime pizzicarmi gli occhi ma cosa potevo fare? Mettermi a piangere in mezzo al cortile? No, signora, no! Continuavo a rimuginare su queste parole, provavo un misto di rabbia, tristezza e vergogna: vergogna perché mi ero fatta trasportare da fantasie e sentimenti inutili e superficiali a dispetto di una semplice simpatia.
Comunque, alla fine, non abbiamo mai affrontato questo argomento e ne sono felice. Spero vivamente che questa esperienza non si ripeta più: innamorarsi ti dà soltanto false aspettative, soprattutto a questa età dove non riusciamo a capire cosa sia veramente questo sentimento che chiamiamo amore. Comunque tu fai quello che vuoi: questi sono soltanto miei pensieri.
Selma

Selma Matilde Ahmed III C

Racconto autobiografico: la mia prima cotta





Beh, prima poi accade a tutti quella sensazione strana in cui ti batte il cuore incontrollabilmente, arrossisci e tutto ciò che ti sembrava sbagliato ora diventa perfettamente perfetto quando incontri una determinata persona. Insomma, la prima cotta.
La mia prima e vera cotta l’ho avuta nell'estate tra la seconda e la terza media durante un camp d’inglese. Prima d’allora lo conoscevo solo di vista o per lo più me lo ricordavo soltanto com'era all'asilo.
Il primo giorno, arrivata a scuola insieme alla mia amica, appena l’ho visto ho pensato fra me e me: “Uhh, ma quanto è carino questo; non me lo ricordavo così”. Durante la giornata abbiamo cominciato a parlare, fino a quel punto era tutto ok, o -meglio- non avevo alcun problema a parlare e a stare con lui. Insomma per me era carino ma lo vedevo semplicemente come un amico.
Nei giorni seguenti la storia si è complicata un po’: insomma tra di noi c’era un po’ d’imbarazzo, veramente non riuscivo più a parlare a dire una sola parola in sua presenza per paura di sbagliare. Credetemi, è una cosa molto strana da parte mia considerando il fatto che non so mai stare zitta, inoltre per la prima volta avevo le farfalle nello stomaco, ma non ero poi così sicura che mi piacesse. 
Poi i miei amici mi hanno fatto notare che lui con me era diverso che con le altre ragazze: era più gentile, carino e anche lui si limitava a dire le solite cose per paura di sbagliare. Inoltre mi hanno confermato che gli piacevo e che anche io mi comportavo in un modo completamente differente dal mio solito dimostrando che provavo qualcosa per lui. Mi sembrava tutto così strano: insomma, fino a due giorni prima manco ci calcolavamo, sono bastati pochi giorni e ci siamo follemente innamorati l’una dell’altro? Capite anche voi che c’era qualcosa che non andava, la mia testa in quei giorni pensava a tantissime cose l’una dopo l’altra senza un filo logico, ma solamente un parola continuava a rimanermi impressa credo che abbiate capito a che parola mi riferisco: …… eh, volevate sapere come si chiama? E invece no, mi dispiace.
Ormai avevo la conferma su tutto: mi ero INNAMORATA di lui, ogni suo difetto ora era semplicemente una cosa fantastica, veramente lo vedevo perfetto in ogni cosa anche se ero consapevole del fatto che la perfezione non esiste, ma in quel momento non me ne importava.
Da quando lo capii il mondo appariva meraviglioso, per la prima volta io ero nel posto giusto al momento giusto con la persona che desideravo di più. L’unica cosa che volevo era stare con lui, perché mi faceva stare bene e a mio agio. 
La ciliegina sulla torta accade il 13 luglio mentre ero a mangiare una pizza con una mia amica, ci stavamo scrivendo ed ad un certo punto mi squilla il telefono. Era proprio lui, in quella frazione di secondo prima che gli rispondessi speravo che mi dicesse quella frase che ogni teen spera di sentirsi dire dal ragazzo che le piace. E fu proprio così. Lascio a voi immaginare la frase e la mia reazione. Dico solo che mi sono messa ad urlare e a saltare in mezzo al ristorante dalla gioia; ripensandoci adesso voglio solo sprofondare dall'imbarazzo. 
Devo dire che questa esperienza è stata molto bella e diversa dalle altre perché per la prima volta avevo capito cosa significasse avere le farfalle nello stomaco a causa di un ragazzo. Anche se alla fine la nostra storia non si è conclusa nel migliore dei modi -forse anche per il fatto che ci conoscevamo appena- mi rimane un bel ricordo che spero di non perdere e che sicuramente mi ha fatto ragionare e maturare. 

anonima05

venerdì 18 maggio 2018

Una pessima giornata


Non avrei mai potuto pensare che sarebbe stato quello il giorno peggiore della mia vita. Quel giorno era cominciato abbastanza bene, mi ero svegliato presto, avevo fatto colazione con calma, le mie piantine cominciavano a fare i fiori ed ero anche arrivato a scuola in anticipo. Mai fidarsi delle apparenze.
Appena entrai in classe vidi i banchi separati, capii quale orrenda sorpresa aspettava me e i miei compagni. La seconda verifica a sorpresa del mese. Non era che l’inizio.
Dopo una dozzina di risposte messe a caso e il suono della campanella cominciò la seconda ora. Il mio ottimismo era ancora alto. Entrò la professoressa e ci disse che ci sarebbe stato un lavoro di gruppo. Il mio gruppo era uno dei migliori però non fui utile poiché le mie idee erano ritenute stupide e quindi inutili. La quinta ora avevamo arte: materia tuttora per me difficile. In quella fatidica ora scoprii di aver sbagliato tutto il lavoro e mi resi conto che avrei dovuto rifarlo; così decisi di far scivolare via la sesta ora in modo da allontanarmi prima da scuola. 
Il ritorno in auto verso casa fu devastante poiché mia sorella percepì la debolezza del mio spirito e decise di dare il colpo di grazia: infastidendomi così tanto che l’avrei fatta volare fuori dal finestrino. Nostra madre ci vide e ci sgridò con tutta se stessa perché odiava essere disturbata durante la guida. Una volta a casa preparammo la tavola.
La mia voglia di vivere non c’era quasi più così feci l’unica cosa che avrebbe potuto farmi stare meglio: mi diressi verso un cassetto, lo aprii e tirai fuori un coltello, lo impugnai e mi tagliai una fetta di formaggio. Mi feci un panino, lo mangiai e mi sentii meglio. Il pomeriggio passò molto velocemente ed io mi recai allo stadio per gli allenamenti. Non avevo dormito molto in quei giorni, per cui quando finimmo l’allenamento di resistenza io caddi stremato a terra. A fatica camminavo e quando fui a casa mi feci una doccia e andai a dormire.
Il giorno successivo mi svegliai alle sette e mezza, non feci colazione e arrivai in ritardo a scuola. Tutto era tornato normale.

Alberto Sirugo IIC

Nostalgia portami via


Carissimo lettore,
il nostro professore di italiano ci ha detto che per casa dovevamo scrivere un “testo autobiografico” dove raccontavamo di un momento/periodo della nostra vita di cui avevamo nostalgia. E allora io mi sono chiesta: qual è il momento più bello della mia vita di cui ho nostalgia?
Sono sicura che mi dirai che dovrei saperlo, ma ripercorrendo la mia vita non ho trovato un momento così forte da farmi venire nostalgia. Potrei mentire spudoratamente al professore, facendo l’ipocrita e dire che “Il momento di cui ho tanta nostalgia è quando andavo all'asilo nido” e raccontare tutte le cose poco impegnative che facevamo quando usavamo ancora il pannolino. Che poi è vero che io, a volte, rimpiango questi momenti, ma non ne ho nostalgia perché, è vero, a tutti piacerebbe non fare niente in alcuni attimi di stress, ma non so se anche tu rinunceresti veramente a tutte le tue conoscenze per ritornare a fartela addosso.
Sicuramente, alla fine della 5a elementare, l’ultimo giorno di scuola (e quando dico ultimo, era veramente l’ultimo), mi sarebbe piaciuto ritornare in prima e rifarmi tutti i cinque anni di scuola primaria, ma solo perché in quel preciso giorno mi sembrava veramente di avere un legame forte con tutti i ventidue compagni di classe: era il venerdì della prima settimana di giugno del 2016, un giorno caldo, passato a divertirci con il resto della scuola; quel giorno era passato velocemente e il divertimento aveva fatto scorrere il tempo in modo supersonico (pensa ad una Lamborghini fusa con una Ferrari) e ormai la giornata di scuola era finita. Stavo facendo lo zaino e ormai mi mancavano pochi libri da sistemare; non mi ricordo come e non mi ricordo perché ma ci ritrovammo tutti a piangere: forse perché eravamo stanchi, forse perché non riuscivamo a lasciare la classe, forse perché eravamo consapevoli che non ci saremmo più visti, ma ci ritrovammo a piangere e ad abbracciarci. Pure una mia compagna sempre impassibile si era messa a piangere: cosa che non era quasi mai successa in cinque anni di scuola. Fatto sta che tutte le classi che sono passate davanti alla nostra porta aperta (e sì, anche la classe del mio caro fratellino, che poi mi ha detto, quando l’ho accusato che stava ridendo di noi, che in quel momento stava ridendo per una cosa che gli aveva detto uno dei suoi compagni) si sono messe a ridere, inconsapevoli del nostro puro dolore e alla fine sono venuti a prenderci i nostri genitori, con gli ombrelli in mano, e quella giornata che incominciò col caldo e la felicità si trasformò in un lugubre, triste e piovoso giorno di fine primavera. In quel momento ero sicura che il tempo invece era consapevole di ciò che provavamo (come la natura in “Solo e pensoso” di Petrarca), ma non avevo capito che il meteo in primavera fa molto spesso questi scherzi. 
Passò un’estate all’insegna del divertimento, della spensieratezza e della paura per la scuola media; all’inizio dell’anno scolastico ci ritrovammo tutti in cortile, a parte uno o due compagni che erano andati a frequentare scuole in altri paesi. Eravamo tutti felici di rivederci e le prime settimane ci salutavamo sempre, ma poi, a fine settembre, cominciammo a ignorare l’esistenza di tutti i nostri ex-compagni. Tant’è vero che me la sono pure presa perché una di loro, che consideravo la mia migliore amica, mi ha invitato al suo compleanno e mi ha ignorato per tutto il tempo e sono rimasta con gli altri maschi e suo fratello a giocare a braccio di ferro (alle elementari riusciva a battermi, ma poi l’ho sconfitto con una rivincita). In quel momento avevo aperto gli occhi su quello che stava accadendo alla nostra amicizia: mi sentivo così stupida. Alla fine ho capito che certe amicizie sono vere come il sole che sorge ogni giorno, altre invece sono false come le ultime tre paia di costole della gabbia toracica. Comunque mi sono ritrovata nella nuova classe con compagni simpatici e con qualcuno di loro ho stretto un’amicizia divertente.
Chissà se in prima superiore rimpiangerò la seconda media.

Selma Matilde Ahmed Mohammed IIC

lunedì 19 marzo 2018

La mia piccola Trilli




Mi ricordo ancora quando mamma e papà mi regalarono un piccolo esserino, morbido, colorato, coccoloso e con due grandi occhi color giallo ocra, in poche parole una gattina, di cui mi innamorai subito.
La chiamai Trilli, visto che tutti gli altri nomi che avevo scelto non andavano bene per i miei genitori. Appena me la diedero in mano, la portai a fare il giro della sua nuova casa e la aiutai a salire le scale. Visto che era ancora troppo piccola per fare uno scalino, la presi in braccio e, salite tutte quelle scale, la poggiai a terra.
Subito si fiondò nella mia camera, sembrava attratta dal mio piumone: non potei biasimarla, era così caldo e morbido che appena ti ci appoggiavi sopra, cadevi in un sonno profondo, simile a quello delle fiabe.
Capii subito il suo intento: voleva provare la mia stessa sensazione, voleva lasciarsi andare in una nuvola di piacere, come me tutte le notti. Allora presi una decisione, la sua prima notte, nella sua nuova famiglia, l'avrebbe passata con me. Conobbe così  la mia nuvola di piacere, e le feci fare sogni d'oro come una mamma che dà la buona notte ai suoi bambini, e li tratta come il tesoro più grande che possieda. Lei, fin da quel momento, fu proprio il mio tesoro più grande. Avevo trovato un’amica, la mia nuova migliore amica, quella che non mi avrebbe mai abbandonato.

Noemi Scomparcini IID

venerdì 2 marzo 2018

Diario di un bambino cresciuto




8/01/2018
Caro Diario,
a volte mi capita di ripensare a quando ero più piccolo e provo un certo rimpianto per quel periodo in cui tutto sembrava così semplice.
Quanto erano belli quei momenti dell’infanzia: non avevi problemi, non serviva che decidessi e non dovevi fare praticamente niente; avevi quella sensazione di “siete tutti ai miei ordini" e “loro”, visto che eri un bambino, ti accontentavano praticamente sempre. Peccato che adesso quei giorni siano finiti. Adesso sono più grande, quindi ho molte più responsabilità sulle spalle, più scelte da fare, più ostacoli da superare.
Ripensare a quei giorni in cui “non avevo niente” mi fa restare quasi senza fiato e con i brividi addosso, sapendo che da piccolo pensavo a cosa sarei diventato da grande. Riavere tutti quei bei momenti di gioia... come la prima volta che sono andato a Gardaland… mamma mia, quanto mi sono divertito su tutte quelle giostre. Ricordo quando sono andato al cinema per la prima volta e sono rimasto strabiliato, perché non avrei mai immaginato che esistesse un posto così, con un megatelevisore. WOW! Che emozioni… emozioni che non posso più rivivere, perché ormai sono cambiato.
Ovviamente con momenti belli ci sono stati anche momenti e sensazioni brutte, ad esempio la prima volta che sono andato in ospedale perché stavo male, o anche la prima volta che sono dovuto andare in un cimitero e ho visto tutte quelle persone che pregavano Dio per riavere i loro cari scomparsi.
Questi sono stati momenti orribili e “strani”, perché da piccolo stare male ti sconvolge, è un'esperienza che non hai mai vissuto prima; al cimitero per esempio, mi sembrava assurdo vedere gente che pregava per un persona scomparsa, adesso invece, mi fa riflettere e capisco come le persone possano amare tanto da piangere e disperarsi e implorare ancora coloro che non sono più con noi.
Io, diario, devo essere sincero con te, da piccolo non vedevo l’ora di crescere; adesso ne ho il timore e vorrei tornare bambino e riprovare tutte quelle sensazioni, belle e brutte, vorrei rivivere lo stupore di tutte le prime volte, perché le prime volte non le scordi mai... purtroppo non è più possibile tornare indietro!
Ecco diario, questo è quello che sento quando ripenso alla felicità di essere piccolo.

Enrico Crosariol IIB 

lunedì 29 gennaio 2018

Un ricordo d'infanzia - liberamente tratto da "Arrivederci ragazzi" di Louis Malle

illustrato dalla IIBL


1944
I fratelli Quentin, Julien e François, partono dalla stazione di Parigi, 
dopo le vacanze di Natale per recarsi al loro collegio, situato nella 
campagna francese.


I ragazzi sono tristi, soprattutto il più piccolo, Julen di dieci anni.



Al rientro al collegio, c'è una novità: è arrivato un nuovo compagno,
Jean Bonnet, appassionato di libri come Julien.


...il collegio rimane comunque un posto triste e freddo.


La guerra ormai è giunta anche in campagna, tanto che arrivano
dei soldati tedeschi, in collegio, a farsi confessare da Padre Jean.


Si soffre la fame e tutti cercano di sopravvivere nel migliore dei modi.
Joseph, il giovane inserviente del collegio, ad esempio, si dedica al 
mercato nero.


I ragazzi continuano le lezioni, nonostante la guerra. Julien non
sopporta proprio il nuovo arrivato, Jean, perché gli ha rubato il
posto di primo della classe e sembra essere superiore a tutto:
superiore agli scherzi degli altri compagni, superiore ai 
bombardamenti, superiore anche alle preghiere.


Una notte, mentre tutti dormono, Julien scopre che Jean prega in
un modo tutto suo...


I due ragazzi diventano amici grazie a una disavventura: si perdono
nel bosco durante una caccia al tesoro, organizzata dal collegio.
I due vengono ritrovati solo a notte fonda, da due tedeschi che li 
riportano in collegio.


Il giorno dopo quando entrambi sono in infermeria, a causa della
febbre presa la notte prima, Julien ha la conferma che Jean è ebreo
e si sta nascondendo dai tedeschi.


Ma la persecuzione è arrivata anche in quell'angolo remoto di 
campagna francese: tutto è iniziato con il divieto di andare ai 
bagni pubblici e al ristorante...


Un giorno l'inserviente Joseph viene beccato a rubare e viene
cacciato dal collegio.


Il ragazzo, per vendicarsi, denuncia ai tedeschi la presenza di 
alcuni Ebrei nel collegio.


I soldati arrivano e portano via il direttore del collegio, padre Jean
(che aveva cercato di salvarli), Jean  Bonnet e gli altri due ragazzi ebrei.


I ragazzi moriranno ad Auschwitz, padre Jean a Mauthausen.


venerdì 26 gennaio 2018

Giornata della Memoria: L'ippocastano di Prinsengracht


e illustrato dalla IAL

Amsterdam

Sono un vecchio ippocastano di Prinsengracht e
voglio raccontarvi la storia di Anne: una ragazzina
che viveva nella soffitta, al numero 263 e che non
usciva mai...


Nella soffitta il tempo passava lento e nonostante ci 
abitassero otto persone, ci si annoiava. Per questo 
Anne passava il tempo scrivendo un diario e guardando
fuori dalla finestra...


Osservandomi lei assisteva all'alternarsi delle stagioni,
sperando che presto sarebbe giunta anche "la sua primavera"...

Purtroppo così non fu. Il 4 Agosto 1944 dei poliziotti
armati arrivarono a prendere quegli Ebrei nascosti nella
soffitta del 263 di Prinsengracht...


Anne morì di tifo, stenti e disperazione nel campo di 
concentramento di Bergen Belsen, nella primavera 
del 1945. Il suo diario, però, sopravvisse e ancor oggi
continua a far rivivere la memoria di Anne e di tutti 
i sei milioni di Ebrei vittime della Shoah.


sabato 13 gennaio 2018

Diario di una lezione straordinaria!


27/11/2017

Caro diario,
oggi mi è capitata una cosa che non mi era mai successa; ora te la racconto. Era l’ora di Lallo, stava spiegando un esercizio che avevo già capito.
Mi riposavo dunque, guardando la lavagna e… mi sono ipnotizzato. Mi succede spesso, però questa volta è stato diverso.
La lavagna è diventata enorme, erano spariti tutti, la mia immaginazione mi stava giocando un brutto scherzo. Un gessetto si è alzato, fluttuando nell'aria e scriveva numeri e formule, disegnava forme geometriche e risolveva problemi. Una volta riempita la lavagna, le formule hanno preso vita e volavano davanti a me: E= mC² , v=s/t, a=variazione velocità/intervallo di tempo…
Poi anche le figure geometriche: quadrato, rombo, rettangolo, trapezio, parallelogramma hanno cominciato a muoversi; ruotavano e danzavano seguendo una melodia impercettibile.
La lavagna si è poi svuotata e pian piano tutto è tornato normale… anche i miei compagni, ma le loro facce erano quelle dei più grandi matematici. Volevo tornare alla normalità e ho tentato di scuotermi, ma le cose sono peggiorate.
I numeri e le figure sono scomparse e hanno lasciato il posto alle parole, non parole qualsiasi però, ma versi della Divina Commedia, brani tratti da romanzi e tutto ciò che c’è da sapere sull’analisi logica. Stavo impazzendo? Di nuovo la lavagna è tornata normale, ma le facce dei miei compagni erano i volti dei più famosi scrittori. Era troppo, non potevo sopportare di più: odio letteratura e grammatica!!
Ma quel mondo ancora mi teneva: ero in Germania nel 1521, vicino a Martin Lutero. Buon modo per ripassare…!!
Tutto procedeva velocemente, non capivo: sapevo che ero in un sogno, però non riuscivo a svegliarmi… “Driiiinn”. Finalmente, eccomi di nuovo nella realtà!
I miei compagni mi sono apparsi uguali a loro stessi, ignari di quello che erano stati solo pochi minuti prima.
Ora ho un terribile mal di testa, inoltre non ho capito niente della spiegazione del nuovo argomento di matematica…
Pazienza, mi rifarò!!
Ti lascio, non ho più niente da dirti.
Ciao!

Mattia Gabatel IID  

venerdì 8 dicembre 2017

Le mie cadute da cavallo


La cosa più brutta, quando cadi da cavallo, non è il dolore che provi fisicamente, ma il dispiacere che avverti vedendo il tuo cavallo che ti scaraventa per terra perché ha paura di te.
Da giovane, nella mia vita di amazzone, ho fatto parecchie cadute da cavallo. Alcune erano causate da me, mentre il cavallo non era colpevole, altre erano dovute al cavallo che si comportava come un pazzo scatenato. 
La prima caduta della mia vita la feci da un asino, in un allevamento di montagna, dove io e la mia famiglia eravamo andati a pranzo. L'animale si chiamava Luiso, aveva il manto pezzato bianco e marrone. Lo cavalcai senza sella e fu proprio per quello che caddi. Non so come, l'asino si spaventò, partì in un galoppo velocissimo e io finii per terra. Poco divertente dato che, tutto sommato, avrebbe potuto anche calpestarmi.
La seconda caduta della mia vita la feci da un pony di nome Nino, anche lui pezzato. 
All'improvviso sgroppò e quindi mi scrollò di sella. 
In seguito, per circa cinque anni, non mi capitò più di risalire a cavallo due o più volte, di ritrovarmi piena di polvere e magari con un bel pestone... questo fino a quando non cambiai maneggio. 
Era il 23 aprile 2017 quando andai a fare l'esame pratico di lavoro in piano. Quella volta montai un purosangue arabo di nome Argento, ex campione di corse. Iniziai a pulirlo e in seguito a sellarlo, per poi montarlo ed iniziare l'esame d'ammissione. Andò tutto bene, ma la volta dopo iniziò il vero lavoro. La mia allenatrice mi fece galoppare senza staffe e dopo un po' mi fece superare un oxer di C90, sempre senza staffe. Feci un tale volo che, se fossi salita tre centimetri più in alto, avrei potuto togliere le ragnatele dal soffitto. Strano ma vero, atterrai in piedi. 
Da quel giorno non saltai mai un ostacolo senza staffe. 
Un'altra delle tante cadute da cavallo la feci mentre cavalcavo Vulivia, una olandese di 1.80 centimetri circa. Stavo galoppando per saltare un verticale di B100, mi tuffai prima di lei e lei si bloccò facendomi fare una giravolta in avanti e in quell'occasione sì che mi feci male alla schiena.
Le cadute successive, e anche quelle più dolorose, le feci da Jack Avril D'erminè, un sella francese di vent'anni. Era un cavallo molto allegro, che aveva partecipato a molte edizioni nazionali ed internazionali ed era un fenomeno. E, come ogni fenomeno che si rispetti, qualche volta si dimostrava imprevedibile e quindi sgroppava. Stavo procedendo tranquillamente quando tirò una sgroppata e mi scaraventò a terra. Non mi calpestò per miracolo, ma mi feci comunque male al collo. Risalii: iniziai nuovamente a galoppare, feci due giri di campo e finii di nuovo per terra. Riuscii ad alzarmi per miracolo. Montai per la millesima volta e, per fortuna, andò tutto bene. 
Ho imparato molte cose cadendo da cavallo, una delle tante è che bisogna sempre rispettare il nostro amico a quattro zampe, in qualsiasi momento; che sia vecchio o giovane non conta, poiché esso è sempre il tuo cavallo.

Battistin  Anna  IIA     

Storia di una bicicletta (quasi) rubata


Nel piccolo paesino di San Stino tutto trascorreva in modo tranquillo. Era una giornata di inizio settembre e mi stavo placidamente rilassando in camera mia, sul letto, con in mano il mio telefono.
Pensavo che tutto sarebbe trascorso tranquillamente... e invece no.                                        Mia mamma mi chiamò dal salotto, probabilmente perché doveva rimproverarmi per qualche malanno commesso in sala o altrove.
Ma non fu così: stava piegando la tovaglia in cucina e aveva un'aria parecchio strana. La guardai tranquillamente e le chiesi: "Che c'è?" come se fosse tutto normale.
"Ieri, dove hai lasciato la bici dopo aver fatto il tuo giretto?" mi domandò. 
Me lo ricordavo perfettamente: il giorno prima ero in casa a non fare assolutamente niente e, per prendere una boccata d'aria, avevo deciso di andare a fare un giro in bicicletta. Era un'uscita molto ristretta: mi ero limitato a recarmi all'oratorio passando per il campo sportivo dietro casa mia, facendo una strada che non percorrevo mai, ma che avevo seguito per il solo piacere di farlo.                           
Arrivato a casa, andai nel garage dietro la mia abitazione e la misi vicino alla porta che immetteva nelle cantine, dove sono posti tutti i meccanismi per far funzionare l'ascensore. Non avendo un lucchetto e non volendo suonare il citofono per chiamare mia madre e farle aprire il cancello del nostro "parcheggio privato", la posai lì sotto, dove la appoggio tutt’oggi.
Le risposi: "Dove la metto sempre" con un tono piuttosto seccato perché mi stava chiedendo una cosa molto stupida.
Non ero ancora a conoscenza della disavventura accaduta alla mia cara e vecchia bici.        "Perché, sai, stavo sbattendo la tovaglia e non l'ho vista" mi rispose preoccupata. 
"Ma come?" risposi, mentre mi recavo nel balconcino per verificare la sua affermazione.        Era vero, c'era solo la bicicletta di Michele nello scomparto. La cosa, però, non mi dette fastidio. Anzi, ero quasi rallegrato: il mio mezzo di trasporto a due ruote era piccolo e vecchio, di un colore rosso che mi ripugnava. Si aggiunga il fatto che, se me l'avessero rubata, ciò avrebbe significato che me ne sarei presa una nuova, una bici alta e con un cestino che desideravo moltissimo.
Tornando da lei non sapevo cosa dirle. Non potevo mica risponderle; "E vai! Finalmente avrò una bici nuova e che non faccia schifo!". No. Mi limitai ad aggiungere: "Allora me l'avranno rubata quando sono entrato in casa". Però me ne andai rallegrato: a breve avrei avuto una bici nuova di zecca che avrei usato molto di più rispetto alla precedente.
Ma non andò in questo modo, per niente.
Dopo qualche oretta, mentre ero alla scrivania col computer e mi rilassavo con la mia serie tv preferita, entrò mia madre: "Filippo, ti hanno ritrovato la bici!" disse guardando il suo telefono e me lo mise davanti alla faccia. 
Ed eccola lì a terra, la mia bicicletta, nella stradina dietro a casa mia che, strana coincidenza, avevo percorso il giorno prima.
"Davvero?" risposi. Era una domanda retorica: la vedevo con i miei occhi, mentre il mio sogno di avere una bici scintillante col cestino si infrangeva.
 "Sì, e quando arriva il papà la vai a prendere" ordinò.
Poco dopo mio padre rientrò a casa dal lavoro e ci recammo direttamente dai carabinieri.      Non ero mai entrato in quella che pensavo fosse una centrale di polizia: aveva un corridoio piccolo e stretto, con qualche sedia blu all'angolo a sinistra della porta. Andati più avanti vedemmo tre carabinieri, due uomini e una donna, che ci fissavano con un sorriso alquanto terrificante.
"Salve" cominciò mio padre "siamo venuti a ritirare una bicicletta rossa".
L'agente donna ci fece qualche domanda e poco dopo ci restituì la bicicletta. L'ultima cosa che ci disse era che se qualcuno fosse giunto per effettuare la denuncia di furto di una bicicletta, l'avremmo dovuta restituire subito.
Il che era impossibile, dato che era davvero di mia proprietà. Purtroppo.
Usciti dalla centrale, mio padre mi disse di andare a casa, mentre lui si sarebbe fermato a prendere le sigarette.
Così mi avviai verso casa. Durante il corto tragitto accesi il telefono e vidi dei messaggi, uno dei quali proveniva da mia zia, sempre aggiornata sui fatti del paese tramite Facebook e il Comune, luogo in cui lavorava.
Mi aveva mandato la stessa immagine che mi aveva fatto vedere mia madre dal suo cellulare e che ritraeva la mia bici, con sotto la scritta: "Ciao, questa è la tua bicicletta?".
Non mi ero accorto che il mio sogno di avere una bici più bella e moderna si fosse infranto molto prima che me l'avesse detto mia mamma.

Filippo Sandrin IIA