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mercoledì 1 marzo 2023

Chi dice donna dice... scienza!

Katia Krafft: "la fidanzata dei vulcani"


Katia Conrad nacque il 17 aprile 1942, a Soultz-Haut-Rhin, in Francia.

Da piccola era una bambina molto vivace, soprattutto in ambito scolastico, perciò i suoi genitori decisero di iscriverla ad una scuola privata.

Katia iniziò giovanissima ad appassionarsi alla matematica e alle scienze, in particolare ai vulcani.

Nel 1961 si iscrisse all'Università di Strasburgo, dove studiò geochimica  e dove  conobbe  il geologo Maurice Krafft, suo futuro marito.

Insieme i due pianificarono di girare il mondo per andare alla ricerca di nuovi vulcani da fotografare, documentare, filmare, dato che entrambi erano appassionati di questi  terribili ma affascinanti mostri della Terra.

Purtroppo la coppia morì in seguito a una colata piroclastica durante l'eruzione del monte Unzen, in Giappone, il 3 giugno 1991.

Giulia Zanon IIIBL


Katherine Johnson: "In matematica, o hai ragione o hai torto."

White Sulphur Springs, 26 agosto 1918 – Hampton, 24 febbraio 2020

Katherine Johnson fu un’importante ricercatrice matematica e scienziata aerospaziale.

Molte persone non la presero sul serio perchè era donna e di colore: quando lei era giovane la segregazione razziale era legale e diffusa negli Stati Uniti. 

Katherine Johnson nacque nel 1918 in West Virginia. 

Fin da piccola dimostrò un grande talento per la matematica e una spiccata intelligenza. 

A scuola "bruciò le tappe", infatti, si diplomò a quattordici anni e a diciotto conseguì la laurea in matematica. 

Il suo primo impiego fu quello di insegnare in una scuola elementare anche se il suo sogno era quello di diventare una ricercatrice in matematica.

Nel 1953 inviò una candidatura alla NACA (l’ente che si occupava dell’aeronautica americana) per diventare “calcolatore”: colui e/o colei che calcolava la traiettoria dei voli; per la sua bravura e la sua precisione venne subito promossa al “Dipartimento di ricerca sul volo”, nonostante l'ostilità dei suoi colleghi, tutti uomini bianchi.

Alcuni anni dopo le cose cambiarono: venne abolita la segregazione razziale negli Stati Uniti e la “NACA” si trasformò in “NASA” . Katherine iniziò ad occuparsi del calcolo della traiettorie dei missili per le missioni spaziali USA. 

Lei calcolò la traiettoria di volo di Alan Shepard, il primo americano nello spazio e quella di John Glenn, il primo astronauta americano ad entrare in orbita attorno alla Terra. 

Collaborò alla preparazione della missione lunare Apollo 11 e senza i suoi calcoli l’equipaggio dell’Apollo 13 non sarebbe riuscito a tornare sulla Terra.  

Per la sua bravura, il suo coraggio ed il suo impegno Katherine ricevette da Barack Obama la “Presidential Medal of Freedom” nel 2015.

Katherine Johnson morì nel 2020 all’età di 101 anni.  

Tommaso Savian IIIBL


Valentina Tereshkova: la prima donna nello spazio

Valentina Tereshkova nacque a Bol'šoe Maslennikov in Russia, il 6 marzo del 1937 da una famiglia bielorussa di umili origini.

Nel 1959, convinta dalla sua amica Galina, si iscrisse a paracadutismo. Quest'ultimo diventò la sua passione, e continuò a praticarlo mentre lavorava in fabbrica per aiutare la famiglia in precarie condizioni economiche.

Il 12 Aprile 1961 l'astronauta russo, Yuri Gagarin fu il primo al mondo a compiere un’impresa spaziale. 

Valentina cominciò da allora ad immaginarsi nello Spazio.

Lo stesso anno frequentò la scuola di addestramento di Mosca per diventare cosmonauta e, dopo due anni di duro allenamento e preparazione, venne scelta tra altre quattro donne, (Irina Solovyova, Tatyana Kuznetsova, Zhanna Yorkina e Valentina Ponomaryova) per essere inviata nello spazio.

Nel 1963 Valentina Tereshkova a bordo della navicella Vostok 6 venne lanciata dal cosmodromo di Bajkonur per una missione di settantuno ore e compì quarantanove orbite attorno alla Terra. 

Fu la prima donna al mondo ad andare nello spazio.

Dal 2017 Valentina vive nella “Città delle Stelle”, un centro militare di addestramento e ricerca spaziale nei pressi di Mosca.

Federico Ongaro IIIBL

Rosalind Franklin e a scoperta del DNA

Rosalind Franklin nacque il 25 luglio 1920 a Notting Hill, a Londra, in una famiglia ebrea benestante.
Durante la guerra studiò chimica a Cambridge. Nel 1947 si trasferì a Parigi per studiare al Laboratoire Central des Services chimiques de l'État; lì si appassionò allo studio della cristallografia a raggi X e imparò ad osservare la materia su una scala infinitamente piccola. Nel 1951 tornò a Londra per lavorare al King's College dove riuscì ad ottenere le migliori immagini della molecola del DNA
Lì collaborò con Raymond Gosling e Maurice Wilkins.
Wilkins, nel 1953, mostrò ai due ricercatori James Watson e Francis Crick la migliore immagine del DNA scattata da Rosalind, fu così che se ne riuscì ad intuirne la struttura. 
In quell'anno Rosalind andò via dal King's College e iniziò a lavorare alla Birkbeck University con il fisico John D. Bernal
Il 16 aprile Rosalind 1958 morì a Chelsea per una malattia forse causata dall'esposizione ai raggi X con cui lavorava. 
Dopo quattro anni Watson, Crick e Wilkins ricevettero il Premio Nobel per la scoperta della struttura del DNA; il contributo di Rosalind venne riconosciuto solo dopo molti anni.

Diana Pianura IIIBL

giovedì 6 ottobre 2022

Kamishibai: racconti in valigia

Il kamishibai, dal giapponese kami (carta) e shibai (teatro), è un teatro itinerante di immagini e parole che ebbe grande diffusione fra il 1920 e il 1950.

Il narratore si spostava in bicicletta di villaggio in villaggio portando sul portapacchi una cassetta di legno, simile a una cartella scolastica. Una volta aperta si trasformava nel proscenio di un teatrino sul fondo del quale scorrevano le immagini di personaggi e ambienti, disegnati su cartoncini rettangolari.

Il narratore raccontava storie che avevano come protagonisti animali, mostri, personaggi fantastici,  bambini e a volte suonava strumenti a percussione o piccoli gong montati sulla bicicletta.

L'usanza del kamishibai è stata quasi del tutto soppiantata dall'arrivo della televisione negli anni Cinquanta, ma è stata recentemente rilanciata nelle biblioteche e nelle scuole giapponesi.


Anche noi abbiamo voluto provare ad inventare dei racconti, illustrandoli e dandogli voce e suono, attraverso il nostro piccolo teatro di legno. 


IIAL

sabato 2 aprile 2022

Albert Einstein: il genio pacifista

Albert Einstein è nato a Ulm il 14 marzo 1879.

Lavorò, come impiegato, all'ufficio brevetti di Berna, dedicando comunque molto tempo allo studio delle fisica, i cui frutti raccolse a partire dal 1905, quando pubblicò i suoi primi lavori scientifici.

Ricevette il Nobel per la fisica nel 1921.

Lo scienziato aveva vissuto sulla sua pelle le persecuzioni che Hitler riservava agli Ebrei, quindi decise di emigrare negli Stati Uniti.

Diventò cittadino americano. Abitava a Princeton e lavorava nell'omonima università.

Nell'estate del 1939, Leó Szilárd e Eugene Wigner, due scienziati ungheresi, si recarono da Einstein, allarmati dalle notizie che davano Hitler ad un passo dall'ottenere la bomba atomica. Lo convinsero a far valere la sua autorità e a scrivere la famigerata lettera con cui il 2 agosto 1939 lo scienziato sollecitò l'allora presidente degli Stati Uniti a impegnarsi nella ricerca atomica. 

Einstein si era convinto che impedire che la Germania nazista fosse l'unica a possedere degli ordigni atomici sarebbe servito come deterrente per scoraggiare chiunque dall'usare un'arma così micidiale.

Lui non prese parte in alcun modo allo sviluppo della bomba. 

Le ricerche erano iniziate solo due anni dopo quella lettera, ed erano state portate avanti da altri scienziati, come l'italiano Enrico Fermi e lo statunitense Robert Oppenheimer. L'operazione top secret, denominata "Progetto Manhattan", aveva impiegato oltre centoventimila persone a tempo pieno, che si erano trasferite in gran segreto nel deserto di Los Alamos, in New Mexico, per lavorare alla bomba. Einstein era stato tenuto all'oscuro di tutto per le sue posizioni pacifiste.

Il 6 agosto 1945 gli USA sganciarono la prima bomba atomica su Hiroshima: morirono in un solo colpo duecentomila persone, molte altre morirono dopo in seguito alle radiazioni. Tre giorni dopo (il 9 Agosto 1945), alle 11.02, una seconda bomba fu sganciata su Nagasaki. Si contarono più di 210.000 morti.

Il primo luglio 1946, il Time, il più importante settimanale americano, mise Einstein in copertina con sullo sfondo il fungo atomico, la formula E=mc2 e il titolo "Cosmoclast Einstein ", Einstein il distruttore del mondo. 

L'articolo che lo riguardava terminava così "Einstein è il padre della bomba per due ragioni fondamentali: è stato per sua iniziativa che gli Stati Uniti hanno iniziato la ricerca sulla bomba ed è stata la sua equazione che ha reso teoricamente possibile la bomba atomica".

Einstein fece battere a macchina alla sua segretaria, Helen Dukas, una lunga lettera rivolta al popolo giapponese nella quale ribadiva la sua completa estraneità a quella terribile faccenda della bomba atomica, per poi spedirla a una rivista in Giappone. "Se avessi saputo che i tedeschi non sarebbero riusciti a realizzare una bomba atomica, non avrei mai mosso un solo dito", diceva con grande rammarico. E il finale era davvero sconsolato: "Gli Stati Uniti hanno vinto la guerra, ma non la pace".

Albert Einstein nella sua vita fece un'unica apparizione in tv (che era appena nata), con la quale sperava di raggiungere il cuore degli americani, accettando l'invito della giornalista Eleanor Roosvelt, moglie del defunto presidente. Quando la donna, che aveva posizioni simili a quelle pacifiste di Einstein, gli domandò quali sarebbero state le armi impiegate in una ipotetica Terza Guerra mondiale, lo scienziato rispose con la sua solita spietata ironia: "Io non lo so, ma posso dirle con quali armi combatteremo la Quarta: le pietre"

Fino a una settimana prima della morte, che avvenne il 18 aprile 1955, il professor Albert Einstein non smise mai di rivolgere al mondo il suo appello per un disarmo totale e definitivo.


giovedì 18 marzo 2021

Gordon Sato (17.12.1927 Los Angeles - 31.03.2017 Beverly) e le mangrovie

Gordon Sato, dopo Pearl Harbor, è stato rinchiuso con la sua famiglia in un campo di raccolta per i nisei, i figli degli immigrati dal Giappone nati sul suolo americano, perché secondo il governo gli americani potevano essere delle spie nemiche.

La valle di Owens, dove era situato il campo, era arida. Là si pativa la fame e il caldo. Il tempo non passava mai e per distrarsi Sato giocava a baseball con gli altri bambini. 

Una mattina Gordon Sato si svegliò con l’idea di migliorare quel paesaggio e le condizioni di vita. Così iniziò ad interessarsi alla vegetazione più adatta alle zone aride. Alla fine della guerra si laureò in biochimica. 

Nel 1987 andò in Eritrea, un luogo molto povero, dove i campi erano incoltivabili e gli allevatori di animali non sapevano dove portare gli animali a pascolare. Gordon iniziò a studiare il posto, e scoprì come le mangrovie potessero essere utili per migliorare il paesaggio. Queste piante crescono lungo le coste tropicali nutrendosi di acqua salata e le foglie sono un cibo perfetto per capre, cammelli e pecore, cioè tutti quegli animali da cui dipende il popolo Eritreo. E così Sato piantò le mangrovie lungo la battigia fangosa di Massaua, lambita dal Mar Rosso.

Dopo questo intervento di Sato il panorama cambiò: i contadini tornarono a coltivare, gli allevatori avevano di che dare da mangiare agli animali. Gordon aveva salvato quel popolo dalla fame.

Questo fu il suo progetto più famoso, ma Sato continuò ad aiutare altri popoli dalla carestia, fino alla fine dei suoi giorni.

Per questa ragione ha ricevuto numerosi riconoscimenti come il Premio Rolex e il Blue Planet Price.

Sato è stato un grande accademico, entrando a far parte di gruppi di biologi di diverse università americane.

E' morto a novanta anni negli USA.

Christian IIIBL

mercoledì 17 marzo 2021

Sadako Sasaki (7.01.1943 Hiroshima -25.10.1955 Hiroshima) e le sue gru

Sadako Sasaki sopravvisse alla bomba nucleare sganciata il 6 agosto 1945 su Hiroshima, ma mori giovanissima a causa delle radiazioni.

Sadako, nonostante fosse stata "vicina" al luogo in cui era caduta la bomba, crebbe in salute fino all' età di undici anni.

Un giorno nel 1954, mentre partecipava ad una gara di corsa, svenne. 

Le venne diagnosticata una grave leucemia. 

La sua migliore amica le raccontò una leggenda secondo la quale chi realizzava  mille gru di carta

(con la tecnica origami) avrebbe potuto esprimere un desiderio che si sarebbe realizzato.

Sadako fece milletrecento gru di carta, ma il suo sogno di guarire fu infranto il 25 ottobre 1955.

Nel parco memoriale di Hiroshima è stata realizzata una statua raffigurante Sadako Sasaki che tende una gru d'oro verso il cielo.




Jonathan IIIBL


lunedì 25 gennaio 2016

Volare: il gioco, il viaggio, la guerra

IL GIOCO
Gli aquiloni

Gli aquiloni furono inventati 2800 anni fa in Cina. Le prime descrizioni degli aquiloni, però, furono diffuse, in Occidente, attraverso gli scritti di Marco Polo solo alla fine del XIII secolo, mentre i primi aquiloni provenienti dal Giappone e dalla Malesia furono importati dai marinai nel XVI e XVII secolo. Inizialmente venivano considerati delle vere e proprie curiosità, ma successivamente nel XVIII e XIX secolo, gli aquiloni furono uno strumento per ricerche scientifiche. Benjamin Franklin pubblicò la descrizione di un esperimento per provare che il fulmine è un' espressione di elettricità, facendo volare, durante un temporale, un aquilone, a cui aveva legato una chiave di ferro come conduttore. Gli aquiloni furono usati durante la ricerca e lo sviluppo del progetto, dai fratelli Wright per la costruzione del primo aeroplano alla fine del‘800.


Esistono quattro tipi di aquilone: quello statico, combattente, acrobatico e quello a trazione. 
L'aquilone statico è controllato da un unico cavo che lo fa rimanere in aria. L'aquilone combattente è controllato da un unico cavo, ma grazie alle sue particolari caratteristiche può passare da una posizione stabile a una instabile (quando viene allentata la tensione del filo). Quando si trova in una posizione instabile l'aquilone tende a fare dei giri su se stesso. 
La persona che guida l'aquilone combattente può fargli compiere dei movimenti alternando la spinta sul cavo di ritenuta, ottenendo quindi delle acrobazie che possono essere giri su se stesso, picchiate, cabrate, volo orizzontale e volo obliquo. 
L'aquilone acrobatico può essere controllato da due a quattro cavi e può eseguire acrobazie nel cielo. 
Nelle gare i partecipanti devono sostenere 3 diverse prove:
le figure di precisione, rappresentazioni nel cielo di figure obbligatorie riportate su un foglio;
la parte di free-style, praticamente una sessione di volo libero;
il balletto, esecuzione di acrobazie a tempo di musica.
Le gare possono essere eseguite individualmente, in coppia o in squadra. L'aquilonismo acrobatico è molto praticato in Francia, negli USA, in Canada, UK , in Germania, nei Paesi Bassi, in Svizzera e in Italia.

Elisa Brollo (IIIA)


La Mongolfiera

Il primo tentativo di volo con una Mongolfiera fu realizzato il 19 settembre 1783 dai fratelli Francesi Mongolfier  (da qui il nome Mongolfiera). I fratelli  usarono come passeggeri per il volo una pecora, un gallo e un'anitra, riuscirono a volare dentro un cesto legato ad un pallone con aria calda all'interno per tre chilometri circa.

 Ma il primo volo in Mongolfiera della storia con persone a bordo fu fatto a Parigi il 21 novembre 1783 da  Jean-Francois in compagnia del Marchese d'Arlandes.
 I fratelli Mongolfier ritenevano che a fare volare  la Mongolfiera  non fosse l'aria calda all'interno del “pallone” ma bensì un particolare gas che venne chiamato il “gas Mongolfier”.

Il merito di comprendere che la Mongolfiera volava semplicemente grazie all'aria calda va riconosciuta allo scienziato Italiano Alessandro Volta. Attualmente le Mongolfiere in Europa sono fabbricate in due sole fabbriche, uno è a Barcellona ed il secondo in Inghilterra.

L'obbiettivo di ottenere una massa di gas più leggera dell'atmosfera circostante può essere ottenuto con strategie differenti; può infatti venire utilizzata aria riscaldata o gas più leggeri dell'aria o entrambi. 
I gas che possono essere usati sono elio, idrogeno, ammoniaca [molto raramente perché tossica]

Con un  m3 di gas si può sollevare  kg 1. 


Filippo Cicuto IIB


IL VIAGGIO, LA GUERRA

L'aeroplano (anche aereo) è un aeromobile dotato di ali rigide, piane e solitamente fisse che sospinto da uno o più motori, è in grado di decollare e atterrare su piste rigide e volare nell'atmosfera terrestre sotto il controllo di un pilota.
L'aeroplano è utilizzato, nelle sue svariate forme, dimensioni e configurazioni, come mezzo di trasporto di persone, di merci e come strumento militare.
Il Flyer, il primo aeroplano propriamente detto, vide la luce nel 1903, quando i fratelli Wright riuscirono a far spiccare il volo ad una sorta di aliante. 
Il primo aereo italiano fu costruito da Aristide Faccioli nel 1908.


Inizialmente l'aereo fu considerato una semplice curiosità per appassionati, ma a poco a poco si iniziò a riconoscerne le capacità e nacquero i primi modelli capaci di prestazioni di volta in volta ritenute impossibili sino a poco tempo prima: sorvolare le Alpi, volare sopra il canale della Manica, o semplicemente, raggiungere altezze e velocità sempre più elevate.

L'avvio di uno sviluppo più scientifico avvenne in concomitanza con la prima guerra mondiale. Fino ad allora gli Stati si erano relativamente disinteressati alle potenzialità del nuovo mezzo ma la guerra innescò l'interesse di questi ultimi nel campo aeronautico.
Tra il 1914 e il 1918 nacquero moltissimi modelli biplani destinati inizialmente a compiti di ricognizione.
Alla fine della prima guerra mondiale, l'aeroplano uscì notevolmente migliorato.
Dagli anni Venti si iniziò a guardare al velivolo come un pacifico mezzo di trasporto. 
Nacquero così le prime compagnie aeree.
La pacifica evoluzione dell'aeroplano subì una nuova accelerazione con i nuovi venti di guerra che spiravano sul mondo alla metà degli anni Trenta. 
Allo scoppio della seconda guerra mondiale tutte le potenze, partecipanti al conflitto, erano dotate di una moderna aeronautica da caccia e da bombardamento.

Un Boeing B-17 Flying Fortress

I bombardamenti strategici furono una costante della guerra.
Gli Alleati costruirono bombardieri con 4 motori e con grande capacità di carico: il più famoso fu il B-17.
Sempre durante la seconda guerra mondiale, in Inghilterra nacque  il radar, che velocemente venne esportato negli Stati Uniti e adottato anche in Germania. Era l'unico modo per prevedere con un certo anticipo un attacco aereo nemico e permettere ai propri caccia di decollare in tempo. Dapprima solo in postazioni terrestri, poi anche montato su aerei.
A fianco dell'Aeronautica si svilupparono anche accorgimenti a terra per limitare i danni degli attacchi aerei: i bunker e i cannoni antiaerei.


Simone Saltarel  (IIB)

domenica 6 dicembre 2015

Haiku: l'irripetibile istante


L'Haiku è una forma di poesia tradizionale del Giappone. Si tratta di una sorta di istantanea.
Eccone un esempio del maestro dell'haiku Matsuo Basho, del XVII secolo:

Vecchio stagno
salto e tonfo -
una rana.

L'haiku fissa un'emozione legata a una sensazione visiva, uditiva, olfattiva del mondo esterno.
Non si fotografa una cosa, ma un'atmosfera. Basho scrisse che per comporre un haiku occorre "dire semplicemente ciò che accade in quel luogo, in quel preciso momento".

Di seguito troverete alcuni haiku dei ragazzi di IA.


Neve bianca fredda,
Sole giallo caldo.
Matteo Ruggiero
Sulla montagna
nel ruscello:
salta un pesce.
Giacomo Giro



Rosse candele
luccicanti palline:
è finalmente Natale.
Chiara Botosso
Un albero, un bastoncino di zucchero,
un fiocco,
e i biscotti per Babbo Natale.
Lorenzo Salgarella
Due mani unite,
il mondo colorato:
la pace.
Chiara Marsonetto
Bianche,
sembrano panna:
le nuvole.
Sabrina Lazzarin
Un'esplosione di colori,
mille stelle:
l'infinito universo.
Selena Boeron






mercoledì 18 novembre 2015

On the road


Ottobre: "All the world's futures" alla Biennale di Venezia
Martedì 20 ottobre, noi ragazzi di terza, siamo andati a visitare la Biennale di arte contemporanea "All the world's futures" a Venezia. L'autobus ci ha portati fino al Tronchetto, dove abbiamo preso il vaporetto per i Giardini di Sant'Elena.
Mentre la professoressa prendeva i biglietti, abbiamo fatto merenda e giocato con i piccioni.
Alle 10.00 siamo entrati ai Giardini e abbiamo conosciuto la nostra guida: Alessia.
Il primo padiglione che abbiamo visitato è stato quello centrale.
All'entrata del padiglione, sulla facciata di epoca fascista, sporgevano dei grandi e pesanti teli neri, che lasciavano intravedere la facciata originale del padiglione.
La prima opera che abbiamo visto è stato il muro occidentale di Fabio Mauri: un muro costruito con delle valigie di ebrei deportati, recuperate alla stazione di Milano. Da una parte il muro era piatto e dall'altro si notava la diversa profondità delle valigie: il nazismo "aveva uniformato" gli ebrei, mentre erano tutti persone diverse. Le valigie erano "povere" e questo ci ha fatto venire in mente l'attualità dell'immigrazione in Italia.
Poi abbiamo visto altre opere e siamo anche passati per un'arena, dove tutti i giorni si recitava qualcosa di diverso. Quel giorno un uomo e una donna stavano leggendo a turno Il Capitale di Marx.
La guida ci ha poi divisi in quattro gruppi.
Ogni gruppo doveva andare in un padiglione che gli era stato assegnato e cercare di rispondere alle domande che erano state poste da Alessia.
I nostri padiglioni erano quello della Corea, dell'Australia, della Francia e dell'Olanda.
Alla fine ogni gruppo ha fatto la guida, agli altri, nel "proprio" padiglione.
Quello dell'Australia aveva come titolo "The wrong way time". In questo padiglione ci hanno colpito delle sculture di pane sopra a degli atlanti aperti: sulla carta geografica del Mediterraneo, ad esempio, c'erano barche rovesciate, con i migranti in mare.
Nel padiglione della Corea proiettavano il video di una giornata-tipo di una ragazza che viveva in un mondo futuro, distrutto dall'inquinamento.
I padiglioni della Francia e dell'Olanda si concentravano sulla natura.
Poi abbiamo visitato in autonomia gli altri padiglioni.
Quello che è piaciuto a tutti è stato quello del Giappone: la stanza era attraversata da tantissimi fili rossi intrecciati, con una miriade di chiavi appese, che rappresentavano il ricordo, la memoria.
Alle 13.30 siamo andati all'Arsenale, l'altra sede espositiva della Biennale. Anche lì abbiamo visto un sacco di opere di diverso tipo. A conclusione della visita c'erano due grandissime fenici galleggianti realizzate da un artista cinese, con pezzi di macchine da lavoro, per denunciare le disumane condizioni di produzione dell'industria nel suo paese.
A termine della visita guidata abbiamo fatto un laboratorio, utilizzando un programma di foto-ritocco: a gruppi, abbiamo modificato un paesaggio reale, in base al nostro gusto, immaginandolo nel futuro.

Enrico Valente, Marco Ridolfo, Kledi Catto, Claudio Timis (IIIB)



Giochiamo col Mondo


Dall'India: il Carrom



Il Carrom è un gioco da tavolo originario dell' India. Lo scopo del gioco è imbucare le proprie pedine negli angoli colpendole con una pedina apposita (striker). Per giocare a Carrom servono: un tavolo quadrato con 21 pedine ( 9 nere, 9 bianche, 2 striker e una rossa).
Il tavolo ha 2 buche per ogni angolo. Sono disegnate delle figure utili per il gioco, come il cerchio centrale. Il gioco inizia con le pedine bianche e nere più la regina, disposte nel cerchio centrale. I giocatori si siedono uno difronte all'altro, viene sorteggiato il primo giocatore che inizia a spaccare e imbucare le proprie pedine. Il giocatore che viene sorteggiato per primo ha le pedine bianche e l'altro le nere.
Le pedine si colpiscono con lo striker, che viene disposto sulla riga vicino alla propria posizione.
Non ci si può alzare dal tavolo e si possono usare tutte e due le mani. 
La pedina rossa (la regina) può essere imbucata solo dopo aver infilato nel buco una propria pedina. Se per caso non succedesse la regina va riposizionata al centro del tavolo.
La partita viene vinta da colui che imbuca per primo tutte le proprie pedine. Per ogni propria pedina imbucata viene assegnato un punto, così come per ogni pedina avversaria rimanente sul tavolo.
In una partita si può giocare 2 contro 2. Spaccando una volta per ciascuno e sommando i punti. La partita termina quando si raggiungono i 25 punti.

Luna Comin, Tania Saltarel, Clara Caminotto, Alex Biasia, Claudio Timis, Paolo Mattiuzzo, Elia Brichese (IIIB)


Dalla Cina: il Domino




Il Domino è un gioco da tavolo che ha lontane origini cinesi. Intorno al XIII secolo veniva usato come strumento di divinazione. Successivamente fu usato per giocare. Venne introdotto in Italia verso il XVIII secolo e si è poi diffuso negli stati europei. Il suo nome “domino” assume il significato di “padrone”.
REGOLE
Il numero di giocatori si estende da un minimo di due giocatori a un massimo di sei. Il numero ideale di giocatori è da due a quattro. Se le persone che partecipano sono quattro si formano due squadre da due. Nel domino l'elemento fondamentale sono le tessere, che sono suddivise in due sezioni: in ciascuna metà possiamo trovare da zero a sei pallini. 
Si incomincia a posizionare una singola tessera. Il giocatore seguente deve posizionare a sua volta una tessera contenente lo stesso numero di pallini presente nell'ultima sezione della precedente. Per esempio, se l'ultima sezione ha come numero di pallini tre, l' avversario deve posizionare una tessera avente l'ultima sezione uguale (tre pallini). Colui che termina le tessere a sua disposizione, per primo, vince la partita.

...e il Tangram



Il Tangram è un gioco cinese. E' un rompicapo costituito da sette tavolette regolari disposte a forma di quadrato. Il nome cinese significa “le sette pietre della saggezza”. Queste sette pietre sono:
due triangoli rettangoli grandi;
un triangolo medio e due piccoli;
un quadrato;
un parallelogramma.
Lo scopo è di formare una figura realistica senza sovrapporre i vari pezzi. Questo gioco non ha vincitori, perché è un gioco solitario.

Fruttaldo Marella, Ridolfo Marco, Vidali Mattia, Stoppa Nicolò, Catto Kledi, Vidotto Carlo, Xausa Sara (IIIB)


Dal Giappone: il Go




Si tratta del gioco più importante della cultura giapponese.
Esso nasce in Cina con il nome di “Wei-qi”, è stato poi importato in Giappone con il nome di “Go”.
La leggenda vuole che questo gioco fosse stato inventato da un imperatore cinese di nome Yao e venne importato in Giappone da un ambasciatore. Il Go acquistò così tanta fama in Giappone che divenne una materia obbligatoria nelle accademie militari.
È un gioco molto complesso malgrado le sue semplici regole.
Il Go è giocato da due avversari che mettono alternativamente pedine nere e bianche sulla scacchiera dotata di una griglia di 19x19 quadrati.
Lo scopo del gioco è di controllare una zona maggiore di quella dell'avversario. È possibile catturare le pedine circondandole completamente con proprie pietre, in modo che non abbiano intersezioni libere adiacenti.
I giocatori devono cercare di soddisfare le esigenze offensive e difensive.
Il gioco termina quando i giocatori dichiarano di non poter incrementare il proprio territorio o diminuire quello dell'avversario.
Il punteggio finale è uguale al numero di pietre catturate.


Padovese Sofia, Marino Alessia, Valente Laura, Di Tota Sara, Valente Enrico, Lessi Giacomo (IIIB)