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martedì 4 febbraio 2025

Paolo e Francesca

Questa è una storia che parla di un amore doloroso e tragico, tuttavia eterno.

In un pomeriggio del 1275 nelle mani di Francesca c’è un libro, un racconto che narra di un amore lontano, di passione e di destino. Le parole accendono nel cuore di entrambi un desiderio che non possono controllare. Il romanzo che i due stanno leggendo parla di un destino irrealizzabile fra Lancillotto e Ginevra, il più potente cavaliere di Re Artù e la regina che tiene il suo cuore tra le mani.

La lettura di quel libro diventa il loro incontro segreto, il momento in cui si realizza l’amore proibito. 

Mentre leggono, si guardano negli occhi e sentono crescere un sentimento che non possono ignorare.

All’improvviso, senza dirsi nulla, si baciano. 

In quel momento, il mondo intorno a loro sparisce e restano solo loro due, legati da una passione che cambierà tutto. Quel bacio è l’inizio della loro sofferente storia d’amore.

Loro sono completamente ignari delle conseguenze, che porteranno al loro comune destino.

Un giorno Gianciotto, il marito di Francesca, scopre della relazione tra lei e Paolo, suo fratello minore. Gianciotto era figlio di Malatesta da Verrucchio, era un uomo sgraziato, deforme e anche severo e violento.

L’ira lo acceca in un impeto di rabbia, corre verso di loro, pronto a vendicarsi. Non c’è tempo di scappare: in un attimo il marito afferra una spada e colpisce profondamente e ripetutamente i due innamorati.

Francesca urla, ma ormai è troppo tardi: l’unica cosa che riusciva a intravedere durante i suoi ultimi battiti sono i loro corpi ancora uniti nella larga pozzanghera di sangue che li circondava. Una lacrima le scese sulla guancia prima di chiudere definitivamente gli occhi.

Paolo e Francesca, adesso due anime perdute nell’inferno, camminano fianco a fianco nel secondo cerchio, quello dei lussuriosi, travolti dalla tempesta infernale.

Da oggi i due saranno condannati a vivere all’interno di una terribile e malvagia bufera, così come hanno preferito in vita la bufera della passione.

Insieme, Paolo e Francesca si stringono sofferenti e cercano conforto nell’amore che li ha legati in vita e che ora li tormenterà per l’eternità.

Margherita Zanette 2DS

venerdì 1 marzo 2024

8 marzo: Sotto mentite spoglie

La rassegna Sotto mentite spoglie, in programma alla Fogazzaro per venerdì prossimo, vedrà come protagoniste donne che si sono finte uomini, solo perchè, nel loro ambito di interesse, gli uomini godevano di maggior prestigio.

Partendo dalle sorelle Brontë, passando per Nina Simone, fino ad arrivare a J. K. Rowilng, ci renderemo conto di quanto ancor oggi sia necessario lottare contro questo pregiudizio duro a morire.

Si è scelto simbolicamente l'8 marzo per parlare di questo fenomeno, in quanto la Giornata internazionale della donna è una buona occasione per sottolineare nuovamente l'importanza della lotta per i diritti delle donne e porre l'attenzione sulla disparità di genere.

lunedì 28 settembre 2020

"IL COLOMBRE" di Dino Buzzati - Animazione con The Bloom Machine

Corto animato liberamente ispirato al racconto "IL COLOMBRE" di Dino Buzzati, realizzato dalla classe IA Scuola secondaria Rufino Turranio di Concordia Sagittaria (VE) - Maggio 2019 - 
Laboratorio per la realizzazione di un corto animato con "The Bloom Machine" di e con Anna Givani, all' interno del "Progetto Animazione" coordinato dalla docente Chiara Bonan.

giovedì 7 maggio 2020

Premio Nobel per la letteratura nel 1959: Salvatore Quasimodo (Modica 1901 - Napoli 1968)

Fino al 1942, nella prima fase della sua produzione, Quasimodo può essere considerato un poeta ermetico
Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, la sua poesia subisce una profonda trasformazione: al centro dei suoi interessi  e delle tematiche trattate non c'è più solo la riflessione intimista, ma compare l'impegno politico e civile
Turbato dalla violenza della dittatura fascista e dagli orrori della guerra, Quasimodo matura la convinzione che il compito della poesia sia quello di giungere al cuore degli uomini e indurli a cambiare il mondo. 
In una delle sue poesie più note, Alle fronde dei salici, scritta nel 1943, nel periodo dell'occupazione nazista, Quasimodo dà voce al grido di dolore dei poeti che sperano di vedere la loro terra libera per avere la forza di tornare a comporre poesie:

E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore?



Tra le raccolte poetiche di Quasimodo ricordiamo:

giovedì 16 aprile 2020

Umberto Saba (Trieste 1883-Gorizia 1957)


Umberto Poli nasce a Trieste, all'epoca ancora sotto la dominazione asburgica; solo in seguito adotterà il cognome Saba che in ebraico significa "pane", per rendere omaggio alle sue origini ebraiche. Dopo aver frequentato le scuole commerciali ed aver lavorato per un po' presso un magazzino, si imbarca come mozzo. Più tardi chiede e ottiene la cittadinanza italiana e si stabilisce a Firenze, dove finalmente si dedica agli studi letterari, alla poesia e inizia a frequentare i maggiori intellettuali dell'epoca. Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale si trasferisce nuovamente a Trieste, ormai italiana e apre una libreria.
Nel 1921 inizia a lavorare alla sua maggiore raccolta poetica: il Canzoniere.



Di origine ebrea, Saba vive, durante il fascismo, il dramma della discriminazione e delle persecuzioni. Costretto a fuggire da Trieste, si nasconde prima a Parigi, poi in altre città italiane. Queste esperienze drammatiche sono all'origine delle tematiche principali della sua poesia:
- l'amore per gli aspetti quotidiani e semplici della vita di ogni giorno, per la propria città, la propria moglie e gli affetti più cari;
- la consapevolezza che tutti gli esseri viventi sono soggetti alla comune legge del dolore;
- l'interesse per le emozioni e i sentimenti dell'animo umano.
A differenza di altri poeti di questo periodo, Saba adotta uno stile meno lontano da quello della tradizione e un linguaggio più semplice, meno "ermetico" e oscuro. Egli si definisce infatti un "poeta onesto", che parla cioè nelle sue poesie di affetti e sentimenti veri, con parola chiare e comprensibili.


L'Ermetismo



Alla fine della Prima Guerra Mondiale, si afferma in Italia un nuovo modo di fare poesia che accomuna alcuni grandi scrittori come Ungaretti, Montale, Saba, Quasimodo.
Per definire queste poesie oscure, enigmatiche, di difficile interpretazione, il critico letterario Francesco Flora conia la parola Ermetismo, le cui caratteristiche principali sono:
- la brevità dell'intera composizione e del singolo verso;
- lo stile frammentario e aspro, che riflette in letteratura il sentimento di fragilità e insicurezza di un'epoca caratterizzata dalla perdita delle certezze e valori e dal timore per la guerra e le sue conseguenze;
- la rottura con le forme metriche della tradizione e la predilezione per il verso libero;
- l'uso di metafore, analogie, similitudini capaci di sintetizzare grandi concetti in poche parole;
- le tematiche intimistiche e autobiografiche, che intendono far luce con sincerità sugli stati d'animo del poeta (malinconia, gioia, dolore, insicurezza) per poterli condividere con i lettori;
- la riflessione sull'incomunicabilità e sulla solitudine umana.

Più che una corrente vera e propria, l'Ermetismo è stato definito come l'atteggiamento, comune a diversi intellettuali italiani tra le due guerre, di delusione verso gli ideali patriottici che avevano spinto a partecipare con entusiasmo alla guerra. Di fronte alla scoperta che ogni conflitto è solo distruzione e lutto, non c'è altra scelta che rifugiarsi nella poesia, vista come un "porto" sicuro dove poter riflettere sulla condizione dell'uomo e sul significato della vita stessa.

mercoledì 25 marzo 2020

Buon Dantedì!

Oggi, 25 marzo, data che gli studiosi individuano come inizio del viaggio ultraterreno della Divina Commedia, si celebra per la prima volta il Dantedì, la giornata dedicata a Dante Alighieri recentemente istituita dal Governo.
‪Il sommo Poeta è il simbolo della cultura e della lingua italiana, ricordarlo insieme sarà un modo per unire ancora di più il Paese in questo momento difficile, condividendo versi dal fascino senza tempo.
Noi faremo, in videoconferenza, un flash mob per "dichiarare il nostro amore per l'Italia con Dante".


In molti hanno deciso di aprire le finestre e i balconi delle proprie case per leggere parte del canto V dell'Inferno, in cui Paolo e Francesca "raccontano" il  loro amore .


Francesca da Rimini, figlia di Guido Minore da Polenta, signore di Ravenna, va in sposa intorno al 1275 a Giovanni Malatesta, signore di Rimini, chiamato Gianciotto perché "ciotto", sciancato; da lui ha una figlia di nome Concordia.
Paolo, cavaliere nobile, bello e cortese, fratello minore di Giovanni, s'innamora della cognata e Giovanni, messo in allarme da un servitore, li coglie in flagrante e li uccide.
L'episodio di Paolo e Francesca, tratto dalla Divina Commedia (Inferno, Canto V), ha avuto nel corso dei secoli grande risalto nella storia dell'arte.

Ecco la storia del loro amore in  quattro grandi opere d'arte, di pittori provenienti da diversi paesi e di diverse epoche.
Anselm Feuerbach, Paolo e Francesca, 1864

Jean-Auguste-Dominique Ingres, Paolo e Francesca, 1819


Gaetano Previati, Paolo e Francesca, 1901

Gustave Doré, Paolo e Francesca, 1861

Buon Dantedì!
IIAL

giovedì 19 marzo 2020

Il FuTurisMo e Filippo Tommaso Marinetti (1876 Alessandria d'Egitto -1944 Bellagio)

Nel 1909 il poeta italiano Filippo Tommaso Marinetti pubblica sul giornale francese Le Figaro il primo Manifesto futurista: una dichiarazione scritta in cui vengono sintetizzati i principi della nuova corrente alla quale aderiscono scrittori e artisti.
Secondo i futuristi, che amano un linguaggio provocatorio e bizzarro, per rinnovare l'arte è necessario:
-"uccidere il chiaro di luna": cioè opporsi alla letteratura e alla poesia tradizionale e in particolare quella romantica;
- comporre "parole in libertà", che nascono dal libero accostamento di immagini per analogie e similitudini, secondo il principio dell'"immaginazione senza fili";
- liberare il linguaggio dalle regole, sintattiche e grammaticali, anche grazie all'inserimento di elementi visivi e grafici all'interno del testo poetico;
- celebrare la velocità, il progresso, le macchine e tutto quello che è espressione della modernità;
- esaltare la guerra, come "sola igiene del mondo", cioè come possibilità di rinnovamento per la società.



Negli anni che precedono la Prima guerra mondiale, Marinetti è tra i maggiori animatori della campagna interventista.
Arruolatosi volontario partecipa egli stesso alla guerra con entusiasmo e coraggio.
Con l'ascesa di Mussolini al potere, aderisce al fascismo.
Viene nominato "Accademico d'Italia" da Mussolini.

lunedì 16 marzo 2020

Luigi Pirandello e le maschere

Luigi Pirandello (Agrigento, 28 giugno 1867 – Roma, 10 dicembre 1936) è stato un drammaturgo, scrittore e poeta italiano, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1934. Per la sua produzione, le tematiche affrontate e l'innovazione del racconto teatrale è considerato tra i più importanti drammaturghi del XX secolo. Tra i suoi lavori spiccano diverse novelle e racconti brevi (in lingua italiana e siciliana), circa quaranta drammi e romanzi.



Pirandello aderisce inizialmente al Verismo, per poi distaccarsene successivamente. Egli infatti scopre che è impossibile riuscire a descrivere n maniera realistica un personaggio e una situazione, semplicemente perché per ogni individuo non esiste una sola verità, ma tante verità quanti sono gli occhi di chi la interpreta. Ognuno di noi è, al tempo stesso:

-uno, perché crede di essere un individuo unico con caratteristiche particolari;

-centomila, perché ha tante maschere quante sono le persone che lo circondano;

-nessuno, perché la sua identità, frantumata in centomila immagini diverse, finisce con l'annullarsi.

La società, secondo Pirandello, impone all'uomo di indossare continuamente delle maschere, per poter essere quello che gli altri si aspettano da lui. Quando questo non avviene e un individuo esce dal ruolo che la società gli impone, allora viene visto come un "pazzo". Secondo Pirandello, la follia consiste semplicemente nel togliersi la maschera per dire la verità. Ma questa scelta condanna all'emarginazione e alla solitudine. E' questo il dramma dell'uomo pirandelliano: la società opprime l'individuo, ma fuori di essa è impossibile vivere.

sabato 14 marzo 2020

Guido Gozzano e il Crepuscolarismo

Guido Gozzano nasce nel 1883 a Torino, dove muore a soli 33 anni, nel 1916, affetto da tubercolosi. Iscrittosi alla facoltà di giurisprudenza, non porta a termine gli studi per dedicarsi alla letteratura.
Gozzano tende ad accogliere nel linguaggio poetico anche gli aspetti della realtà più dimessa. La forma dei suoi componimenti poetici è molto vicina alla prosa, semplice e discorsiva ma è creata attraverso un ricercato equilibrio delle forme espressive.



Il termine Crepuscolarismo viene coniato dal critico Giuseppe Antonio Borgese per definire le caratteristiche comuni a un gruppo di poeti amanti del "crepuscolo", cioè del tramonto, della malinconia e della quiete. I crepuscolari 
-parlano, nelle loro poesie, degli avvenimenti apparentemente banali di ogni giorno e delle "cose buone di pessimo gusto" che si possono trovare a casa della nonna o di una vecchia zia;
-si rifiutano di partecipare attivamente alla vita politica, trovando rifugio negli affetti e nei ricordi;
-mascherano il loro pessimismo nei confronti del presente con un atteggiamento ironico e distaccato;
-usano in poesia un linguaggio semplice, uno stile discorsivo, simile a quello della prosa, e molti termini tratti dal parlato, tradizionalmente esclusi dalla poesia.
L'apparente semplicità dei testi nasconde però una profonda conoscenza della tradizione letteraria italiana e delle nuove tendenze della poesia contemporanea straniera.

lunedì 9 marzo 2020

Italo Svevo e "La coscienza di Zeno"

Hector Schmitz nasce, nel 1861, a Trieste, quando la città fa parte ancora dell'Impero austo-ungarico. Di padre austriaco e madre italiana, lo scrittore sceglie lo pseudonimo di Italo Svevo, che sintetizza la sua doppia identità culturale. Affacciata sull'Europa, crocevia di lingue e culture diverse, Trieste è una città di confine viva e aperta alle più moderne tendenze letterarie, filosofiche e scientifiche. Svevo, dopo aver studiato in Germania, torna a Trieste dove trova impiego in banca ma, al tempo stesso, inizia a frequentare scrittori italiani ed europei e si interessa alle teorie di Sigmund Freud, padre della psicanalisi. Nello stesso periodo, Svevo inizia a scrivere, ma i primi insuccessi e la necessità di dedicarsi all'azienda del suocero, che dopo il matrimonio gli è stata affidata, lo allontanano per lungo tempo dalla letteratura. 
Il successo per Svevo arriva tardi, nel 1923, quando ha più di sessant'anni, grazie a quello che ancora oggi è considerato il suo romanzo più riuscito, La coscienza di Zeno: racconto autobiografico in cui il protagonista, Zeno Cosini, su consiglio dello psicanalista, scava dentro di sé, dando libero corso al fluire dei suoi ricordi, per capire le cause del suo disagio esistenziale. 
Cinque anni dopo, nel 1928, Svevo muore in un incidente d'auto.



La coscienza di Zeno viene accolto dai contemporanei come un romanzo molto innovativo, sia per la struttura che per i contenuti:
-la storia non viene raccontata cronologicamente, dall'inizio alla fine, ma secondo l'ordine in cui i ricordi si presentano alla mente del protagonista;
-il racconto prosegue per episodi, immagini che si presentano alla mente del narratore come "flusso di coscienza" cioè una libera esposizione dei pensieri, così come compaiono nella mente.

sabato 7 marzo 2020

Il poema della favolosa avventura: l'Odissea

Mentre l'Iliade è il poema dell'eroismo guerriero, l'Odissea è il poema della favolosa avventura. Se l'Iliade infatti è tutta risonante di battaglie e di armi ed è pervasa da un'atmosfera di tensione, di odio, di ferocia, l'Odissea ci trasporta nel regno della fantasia, del meraviglioso, dove l'elemento magico assume un ruolo determinante.
L'Odissea narra l'avventuroso e difficile viaggio di ritorno in patria di Odisseo (Ulisse), dopo la distruzione di Troia.
Forte e coraggioso, abile guerriero, Ulisse è soprattutto uomo ingegnoso, calmo e riflessivo, tenace e astuto. E' l'eroe della saggezza è dell'intelligenza. Dominato da un profondo desiderio di conoscenza, egli vuole apprendere, ha sete di avventura e una forte attrazione per il mistero, l'ignoto.
Ulisse è, però, anche l'eroe umano per eccellenza: prova passioni e sentimenti comuni. Sempre presenti in lui sono la nostalgia per la patria e l'amore per la famiglia.


La guerra di Troia è finita ormai da dieci anni, ma Ulisse non è ancora tornato in patria. Nella sua reggia a Itaca i Proci spadroneggiano e insistono affinché Penelope, la moglie di Ulisse, scelga uno di loro come sposo.Telemaco, suo figlio, allora decide di partire alla ricerca del padre. 
Si reca a Pilo da Nestore e a Sparta da Menelao, dal quale apprende che Ulisse è vivo, trattenuto nell'isola di Ogigia dalla ninfa Calipso... 

Contro Omero...

Ecco qualche antica lamentela ispirata all'esempio di B. Placido.



Caro Omero, 
qui è Achille che ti scrive una lettera di protesta per il tuo racconto L'Iliade. 
Le falsità che tu hai scritto sono inaudite, per esempio tu hai detto che sono morto, ma se ti sto scrivendo vuol dire che non è così, oppure hai raccontato che Agamennone mi ha sempre trattato male anche se io e lui siamo grandi amici. 
Patroclo non è mai morto e io non ho mai partecipato a quella guerra, ho solo prestato l'armatura a Patroclo. 
Briseide non è mai esistita e Agamennone ha accettato il  riscatto di Crise. 
Paride non ha mai rapito Elena e Priamo non è mai stato re di Troia... Quella guerra è scoppiata solo a causa di una tassa sullo Stretto dei Dardanelli.
Mi sa che questa volta Calliope non ti ha aiutato Omero!
Con astio
Achille

Carissimo Omero,
chi ti scrive è il valoroso eroe Achille. Ho deciso di scriverti per lamentarmi del mio personaggio: capisco il dover essere forte e valoroso in battaglia, ma un po' più di tranquillità io me la meritavo!
A dire la verità io mi accontentavo di esserci nella tua opera, anche solo come venditore pelli al mercato, ma tu mi hai obbligato a lottare e combattere per andare a riprendere quella Elena fuggita, da Sparta, con il suo amante, poi  mi hai fatto litigare con Agamennone che si è preso la mia Briseide e, quando per questo non volevo più andare in battaglia, hai fatto morire il mio amico Patroclo, che è morto indossando la mia armatura... obbligandomi così a ritornare a fare la guerra per vendicarlo.
Tutto questo non mi è proprio andato giù e te lo dovevo dire.
Con rispetto
Achille



Signor Omero, sono Menelao, re di Sparta.
Le scrivo per avere alcuni chiarimenti in merito al mio ruolo nel suo noto poema l'Iliade.
Ospitai Paride, principe di Troia, nella mia città. Lui si innamorò di mia moglie Elena, alla quale Lei ha voluto assegnare il titolo di donna più bella del mondo...e come darLe torto!
Mia moglie e Paride fuggirono a Troia insieme e io, aiutato da mio fratello Agamennone, non ebbi altra scelta: gli dichiarai guerra.
Mi trovai a duellare con Paride: il vincitore si sarebbe tenuto Elena. Per avere la meglio chiesi aiuto a Zeus, ma lui non mi aiutò. Ero impotente, avevo capito che con l'aiuto degli dèi Paride avrebbe vinto, ma combattei lo stesso perché io rivolevo la mia regina.
Poi arrivò Afrodite che avvolse Paride in una fitta nebbia, traendolo in salvo.
Io non avevo fatto nulla di male, avevo onorato il sacro valore dell'ospitalità, accogliendo Paride, lui mi aveva disonorato, ma fu comunque aiutato dagli dèi!
Con rabbia
Menelao




Egregio Signor Omero,
mi presento: il mio nome è Paride, figlio di Priamo re di Troia ed Ecuba. 
Le scrivo per protestare per come mi ha descritto nell'Iliade
Sono arrabbiato e deluso perché mi ha fatto apparire come un guerriero di scarso valore, mentre altri personaggi risultano essere degli eroi! Anch'io volevo essere un eroe. E' vero che io ho ucciso il valoroso Achille ma l'aiuto di Apollo; lei avrebbe potuto farmelo uccidere senza nessun aiuto, solo con le mie virtù di guerriero, così anch'io sarei stato un eroe.
Come ha scelto chi doveva essere un eroe e chi no? Chi doveva morire e chi no?
Nell'attesa delle sue risposte, Le porgo (nonostante tutto) i miei più cordiali saluti.
Paride


Illustrissimo Signor Omero,
questa lettera di proteste e di chiarimenti è stata scritta dal sottoscritto Achille.
Prima domanda: perché quando sono nato mia mamma Teti  mi ha preso per il tallone, invece di immergermi interamente nel fiume Stige? Mi sarei evitato tanto dolore per nulla.
Seconda domanda: perché il mio migliore amico Patroclo è dovuto morire invano con la mia armatura indosso? Per fortuna sono riuscito, almeno, a vendicarlo, uccidendo Ettore e trascinandolo con il mio cocchio.
Terza domanda: perché non potevo essere un normale cittadino con una casa, una famiglia e un lavoro?
Sono davvero molto arrabbiato con Lei Omero, per come mi ha trattato nell'Iliade e pretendo che cambi la storia altrimenti invocherò contro di Lei l'ira di Zeus, Afrodite e Apollo.
Saluti
Achille



Illustrissimo Signor Omero, 
chi Le scrive è Paride (o Alessandro), "rapitore" di Elena di Sparta.
La mia sparizione nel duello contro Menelao non è stata degna di un guerriero. 
Si ricordi che l'amore è più forte di tutto.
Afrodite è stata gentilissima nei miei confronti, ma sono sicuro che anche se lei non mi avesse aiutato, sarei comunque arrivato a "vincere" Elena, grazie all'amore che provavo per lei.
Non si può giudicare una persona per qualcosa che non ha portato a termine per colpa o volere di qualcun altro. Sono stato portato via senza avere la possibilità di mostrare il mio valore e i miei sentimenti... forse Lei avrebbe potuto lasciare che vincessi solo con le mie forze!
Paride



Illustrissimo Omero, 
io sottoscritto Paride, principe di Troia, figlio di Priamo e Ecuba, "rapitore" di Elena, Le scrivo per lamentarmi.
Protesto perché non sono stato descritto come un valoroso guerriero: essendo un principe avrei dovuto esserlo!
Nel combattimento con Menelao ho rischiato addirittura la morte perché lui mi stava strangolando con il sottogola... per fortuna mi ha salvato Afrodite che ha spezzato la cinghia liberandomi dall'elmo  e avvolgendomi in una fitta nebbia mi ha portato nella stanza da letto di Elena.
Io volevo essere più forte di così, più valoroso, non volevo essere salvato da Afrodite.
Spero che per i prossimi racconti ne tenga conto.
Paride, principe di Troia




Egregio Omero, 
io, Ettore, figlio di Priamo ed Ecuba, marito di Andromaca, padre di Astianatte, sono sempre stato pieno di coraggio per la mia famiglia e per la mia patria, ma purtroppo sono comunque stato ucciso da Achille, che per vendicare Patroclo ha legato il mio corpo al suo cocchio, deturpandolo nella polvere. 
Dopo dodici giorni ha poi deciso di rendere il mio cadavere alla mia famiglia... se devo essere sincero avrei preferito non lo facesse. 
La mia morte ha causato dolore nella mia famiglia, in tutti i Troiani, ma anche in me: pensavo di valere più di Achille.
Dunque Omero, spero che la prossima volta Lei racconti una storia diversa.
Grazie per l'attenzione
Ettore



Illustrissimo Signor Omero, 
io sottoscritto Achille, valoroso guerriero Acheo, mi sono trovato, ingiustamente, più volte a dover affrontare delle situazioni difficili.
So per certo che ai lettori è piaciuto molto il suo poema, ma non ho trovato corretto il fatto che io abbia dovuto pagare le conseguenze di sbagli altrui, come per esempio quando Agamennone ha causato la peste per non aver liberato Criseide, chiedendomi poi in cambio Briseide... per questo avevo scioperato abbandonando la guerra!
Scusi se mi sono permesso quest'osservazione, ma ci tenevo a farLe sapere come io abbia vissuto tutto questo come un'ingiustizia.
Spero non si sia offeso, rispettosamente
Achille



Caro Omero,
io Eris, protesto per il mio ruolo di dea della discordia: non vengo mai invitata nelle occasioni speciali e questo mi ferisce. 
Questo ruolo non mi si addice per niente, avrei preferito essere la dea dell'amore oppure quella della sapienza, ma non quella della discordia che porta solo odio e guerra.
Se il ruolo di "dea della discordia" non fosse esistito, sarei stata invitata al matrimonio di Peleo e Teti, non avrei creato la mela d'oro, non avrei messo Atena, Afrodite e Era una contro l'altra, Paride non avrebbe scelto Afrodite (solo per la ricompensa di avere l'amore di Elena), Elena non sarebbe fuggita da Sparta, insomma non ci sarebbe stata la guerra di Troia!
Visto che Lei è l'autore del poema, spero rifletta sulla mia lamentela, cambi il mio ruolo e di conseguenza tutta la storia.
Aspetto con ansia la sua risposta.

Eris, la dea della discordia


Egregio Omero,
ho visto quello che ha scritto su di me nell'Iliade e devo dirLe che molte cose che ha raccontato sono false, ad esempio Lei ha detto che Paride rapì Elena e che Agamennone si rifiutò di ritornare Criseide al padre... TUTTO FALSO!
Forse è vero però che Agamennone si è comportato male con me per la questione di Briseide: io che sono molto geloso, sono diventato un po' sospettoso nei loro confronti.
Volevo lamentarmi con Lei, soprattutto per questa mia storia personale: per colpa sua, infatti, ho litigato con Agamennone e anche con la mia amata Briseide.
Saluti 
Achille


Caro Omero, 
io, Achille, semidio, nato in Grecia non volevo morire come ha raccontato Lei nell'Iliade.
Io vivevo normalmente, quando un giorno, Agamennone, fratello di Menelao re di Sparta, mi chiamò per andare in guerra contro Troia: la moglie di Menelao era stata rapita da Paride, principe di Troia.
Tutti gli Achei partirono e assediarono Troia. Ma poi scoppiò un'epidemia di peste nel nostro campo, mandata da Apollo, perché Agamennone non aveva voluto restituire Criseide, figlia di un sacerdote di Febo, al padre. Alla fine Agamennone decise di restituirgliela, per far finire la peste, ma solo alla condizione che io gli cedessi Briseide. Io accettai, per il bene dei miei compagni, ma giurai di non fare più la guerra. E così feci, quando però il mio migliore amico Patroclo venne ucciso da Ettore di Troia, ritornai in guerra e lo vendicai... poi mi arrivò una freccia sul tallone, scagliata da Paride e morii.
Omero, io volevo chiederLe di cambiare questa parte: voglio morire in modo valoroso, non in un modo così poco degno di un eroe.
Grazie per l'attenzione, a presto
Achille


Egregio Omero,
ero orgoglioso di aver accettato di essere uno dei protagonisti della sua Iliade, ma poi qualcosa è andato storto: Lei ha scritto delle cose non vere, cambiando completamente la storia!
1. Paride non rapì Elena di Sparta; la guerra con Troia scoppiò a causa di una tassa imposta, dai troiani, ai greci che volevano passare lo stretto dei Dardanelli.
2. Non è vero che Agamennone mi trattò male, in realtà lui ed io siamo sempre stati grandi amici
3. Agamennone restituì immediatamente Criseide al padre, quando lui gliela chiese gentilmente indietro.
4. Io non ho mai partecipato alla guerra e dunque non sono mai morto in battaglia;
5. nemmeno Patroclo, che invece ha partecipato alla guerra, con la mia armatura, è morto.
Sono davvero arrabbiato e non vorrei più comparire in una storia così fasulla.
Con amarezza
Achille


Illustrissimo Signor Omero, 
sono Andromaca, moglie di Ettore, madre di Astianatte, e Le scrivo per lamentarmi con Lei.
Mio marito è dovuto, andare in guerra contro gli Achei, fino alla fine. 
E' stato molto dura salutarsi, sulle mura di Troia... c'è stato un momento di grande tenerezza, quando Ettore non è stato riconosciuto, a causa dell'elmo, dal piccolo Astianatte, che si è messo a piangere: lo ha abbracciato solo quando si è tolto il cimiero. 
In quel momento ho provato un dolore fortissimo, perché ho pensato che quella, probabilmente, sarebbe stata l'ultima volta che saremmo stati insieme.
Ettore, a quel punto, mi disse "ognuno ha il proprio destino e nessuno può cambiarlo" e poi se ne andò.
Lei Omero, non poteva cambiare la nostra sorte? Non poteva far ritornare Ettore sui suoi passi? O almeno non poteva farlo sopravvivere, così che potesse stare con me e Astianatte?
La vita era già stata tanto ingiusta con me...
Con dolore 
Andromaca

martedì 3 marzo 2020

Ludovico Ariosto e il genere cavalleresco


Ludovico Ariosto nasce, nel 1474, a Reggio Emilia. Suo padre, comandante della guarnigione locale, riesce a introdurlo alla corte della famiglia d'Este, dove ha la possibilità di frequentare artisti e intellettuali e coltivare la sua passione per la letteratura. Alla morte del padre, Ludovico entra al servizio del cardinale Ippolito d'Este, a Ferrara, e gli vengono assegnati delicati incarichi diplomatici. Nominato governatore della Garfagnana, una zona particolarmente turbolenta della Toscana, a causa delle scorribande di predoni e banditi, Ariosto si rivela un abile amministratore, riuscendo a portare ordine nella regione, e nello stesso tempo si dedica alla stesura della sua opera più famosa: l'Orlando Furioso. Nel 1525 viene chiamato a corte con il compito di organizzare la vita culturale di Ferrara e lavora, fino all'anno della sua morte, il 1523, alla revisione del suo capolavoro.


Ariosto è considerato un grande innovatore del genere cavalleresco, in quanto:
- le avventure dei vari e numerosi personaggi sono raccontate con distacco e ironia con lo scopo di allietare e divertire il pubblico delle corti;
-il poeta non è interessato ad esaltare gli ideali, le virtù e l'eroismo dei cavalieri e delle dame, ma vuole semplicemente raccontare una storia meravigliosa, capace di stupire e appassionare i lettori;
-tutti i personaggi vengono rappresentati nella loro dimensione umana, con i loro vizi, le loro virtù e tutta la gamma dei loro sentimenti: amore, gelosia, rabbia, viltà, coraggio, delusione;
-nel narrare la storia di Orlando, Ariosto mescola sapientemente momenti tragici, comici, commoventi, avventurosi.

Gabriele D'Annunzio (Pescara, 12 marzo 1863 – Gardone Riviera, I marzo 1938)


La vita di questo scrittore è un susseguirsi di colpi di scena e di scandali, spesso alimentati dallo stesso D'Annunzio per celebrare la propria fama e per aderire all'ideale di superuomo. Il suo rapporto con Mussolini è singolare e contraddittorio: se da un lato lo scrittore è vicino al fascismo e alla sua ideologia, dall'altro non vi aderisce mai completamente. D'Annunzio pubblicizza anche i suoi amori e le sue spese folli in seguito alle quali, è costretto, nel 1910, a rifugiarsi in Francia per sfuggire ai creditori. Nel 1915 conduce un'intensa campagna interventista a favore dell'entrata in guerra dell'Italia. Nel corso della guerra, cui partecipa come volontario, si lancia in imprese spericolate, come quando a bordo di una aeroplano sorvola Vienna nel 1918 per far cadere sulla città dei volantini tricolori in segno di provocazione. Nel 1919, dopo la fine della guerra, organizza una spedizione di volontari per occupare la città di Fiume, che le potenze Alleate vincitrici non avevano assegnato all'Italia ma alla Jugoslavia. La missione riesce, ma il governo italiano gli intima di abbandonare la città e tornare in patria. Costretto a rinunciare all'impresa, D'Annunzio si ritira nella sua villa sul Garda, detta poi il Vittoriale degli Italiani.



La poetica
Vita e arte sono profondamente collegate in D'Annunzio. Come la sua esistenza, anche le sue opere sono ispirate:
-alla ricerca della bellezza (estetismo) attraverso la scelta di parole raffinate, l'uso di uno stile ricercato e la descrizione di ambienti eleganti e aristocratici;
-all'ideale del superuomo, con la creazione dei personaggi che appaiono superiori alla massa, per nobiltà, sensibilità, audacia;
-al sensualismo, inteso come attenzione ai sensi e a tutto ciò che può suscitare sensazioni di piacere, sia fisico che spirituale.

La fine dell'Iliade (canti XVI-XXIV)

Patroclo, il più caro amico di Achille, viste le difficoltà dei compagni, prega l'eroe di poter indossare le sue splendide armi: alla loro vista i Troiani terrorizzati senz'altro si ritireranno. Achille acconsente. Il successo dello stratagemma è immediato:  i Troiani, ingannati, fuggono e Patroclo semina paura e strage fra i nemici che lo credono Achille. Ettore però non fugge, gli si fa incontro e lo uccide.


Achille, appresa la notizia della morte di Patroclo, è assalito da un disperato dolore e giura di vendicarlo uccidendo Ettore. Si riconcilia con Agamennone che gli restituisce Briseide, indossa la nuova armatura preparatagli dal dio Efesto e si lancia nel campo di battaglia.
Subito la battaglia si trasforma in una sconfitta per i Troiani: Achille fa strage dei nemici e si avvicina sempre più alle mura di Troia. Quando Priamo si accorge che per i Troiani non c'è scampo, dà ordine di aprire le porte della città affinché i fuggiaschi possano salvarsi. Solo Ettore rimane fuori dalle mura e decide di affrontare Achille. 


Il duello si conclude con la morte di Ettore. Achille lega il cadavere al suo cocchio e lo trascina nella polvere attorno alle mura di Troia; ritorna poi alle navi e ordina grandi onori funebri per Patroclo. 


Dopo dodici giorni, impietosito da Priamo, il padre di Ettore, Achille permette di restituire ai Troiani il cadavere dell'eroe.


 Con i solenni funerali di Ettore si chiude il poema.

lunedì 2 marzo 2020

Anche i personaggi delle letteratura protestano...

I personaggi dei libri sono "figli" dell'autore, spesso però non sono felici di come vengono trattati, ecco perché a volte si lamentano, come fa Pinocchio che scrive al Tribunale dei minori...


Illustrissimo Signor Presidente, io sottoscritto Pinocchio, burattino (e tale voglio restare) nato a Roma (ma di babbo toscano) nel "Giornale per i bambini" il 7 luglio 1881, non voglio diventare "un ragazzino per bene" come tutti gli altri. Prima di tutto perché così voleva il mio babbo. Signorsì, il mio povero babbo Collodi, che mi ha inventato, smise subito di raccontare la mia storia: il 27 ottobre di quello stesso anno. Mi lasciò appeso all'albero dove mi avevano legato quei due malvagi che poi erano il Gatto e la Volpe.
Però è sempre meglio restare appeso ad un albero che diventare un ragazzino in questo mondo. E lì mi avrebbe lasciato legato il mio povero babbo, ma c'erano i lettori che protestavano, il Direttore del Giornale che insisteva. Così mi fece scender giù - ma solo dopo quattro mesi - e mi rimise in movimento, il 16 febbraio 1882. [...]
I lettori tanto fecero e tanto scrissero che il mio babbo [...] mi rimise per strada. [...]Finché come Dio volle, nella puntata finale del 25 gennaio 1883, mi ritrovai trasformato in un bel bambino, che io proprio non volevo.[...]
Rispettosamente
 Pinocchio

Questa lettera, ovviamente, non è stata scritta da Pinocchio ma è nata dalla fantasia di Beniamino Placido ed è comparsa sul quotidiano la Repubblica il 17 febbraio 1990.

Niccolò Machiavelli e "Il Principe"

Niccolò Machiavelli

Niccolò Machiavelli nasce nel 1469 a Firenze, dove intraprende la carriera diplomatica. 
Dopo la morte di Lorenzo Il Magnifico e in seguito alla discesa in Italia di Carlo VIII, Machiavelli diviene il giovane segretario della neonata Repubblica fiorentina e, in qualità di diplomatico, compie diversi viaggi e conosce molti potenti dell'epoca. 
Quando nel 1512 i Medici tornano a Firenze, Machiavelli viene costretto all'esilio, durante il quale si dedica alla composizione della sua opera più importante, Il Principe, un vero e proprio trattato di scienza politica in cui analizza quali devono essere le caratteristiche e le doti pratiche di un uomo di potere: realismo, furbizia e decisione.
 Nel 1514 Machiavelli ha il permesso di ritornare a Firenze, dove muore, nel 1527.

Lorenzo de' Medici, duca di Urbino


Il Principe
Il Principe è un trattato in 26 capitoli che Machiavelli dedica a Lorenzo de' Medici, duca di Urbino, con l'intento di offrirgli utili consigli per liberare l'Italia dagli invasori e riunirla sotto la sua guida. 
In uno dei brani più famosi, l'autore si chiede se sia meglio per un principe essere amato o temuto dai propri sudditi. Attraverso una serie di argomentazioni, Machiavelli afferma che gli uomini tendono a rispettare di più coloro di cui hanno timore che quelli che stimano e per cui provano rispetto e gratitudine. 
E' importante però che il principe stia ben attento a non far tramutare il timore dei sudditi in odio, in modo da non mettere il pericolo il suo potere. 
L'uomo è, per sua natura, avido, malvagio e opportunista, pronto a sostenere il governante che meglio fa i suoi interessi e non il più virtuoso. 
Allo stesso modo, chi detiene il potere non deve curarsi di essere buono o giusto, ma semplicemente di agire nel modo che gli permetta di raggiungere più facilmente i suoi scopi.