martedì 3 dicembre 2019

Su "L'infinito" di Giacomo Leopardi



Si può chiudere l'infinito in una bottiglia, in una scatola, in un recinto? No, ma lo si può cantare e consegnare al futuro in quindici endecasillabi sciolti. Se il significato di questi ti è parso oscuro, proverò a parafrasarli.

"Mi è sempre stato caro questo colle solitario e questa siepe che impedisce allo sguardo gran parte dell'orizzonte. Quando mi siedo e resto a fissarla, riesco a immaginare degli spazi sconfinati, al di là di questa, e mi pare di sentire un silenzio assoluto, come mai ve ne sono stati in questo mondo popolato dagli uomini, e avverto una serenità così profonda da restarne turbato. Poi, il suono delle foglie carezzate dal vento mi riporta al presente. E mi viene da paragonare il silenzio che ho immaginato a questo suono. Penso all'idea di eternità, a tutte le epoche passate e dimenticate, e a questa in atto, ancora viva, e alla sua voce. Così il mio pensiero sprofonda in quest'immensità: ed è dolce naufragare in questo mare."

Nel 1819, a ventun'anni, Giacomo Leopardi compose L'infinito, la sua poesia più celebre e una tra le più belle mai scritte. Per raggiungere la siepe, Leopardi doveva solo attraversare il giardino di casa, tagliare per l'orto di un convento ed eccolo arrivato sulla sommità di un colle. Nei giorni privi di foschia, da lì riusciva a vedere il mare. I momenti che prediligeva, li aveva provati seduto di fronte a quella siepe, perso a immaginare.
Ognuno ha la sua siepe, un luogo nel quale stare solo e lasciare che l'immaginazione si muova liberamente nel tempo e nello spazio. Non sappiamo se quell'infinito esista realmente, eppure ci piace provare a immaginarlo. In questo preciso istante, mentre sei seduto e i tuoi occhi scorrono questi segni, la tua mente viaggia indietro di duecento anni e poi in avanti, forse, o chissà dove. Forse la tua "siepe" la stai stringendo tra le mani. Nello spazio finito della pagina di un libro, un luogo d'accesso al tuo splendido naufragio.

pensiero di Daniele Aristarco

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