martedì 9 aprile 2019

Il nostro poeta: Romano Pascutto (1909-1982)


C’era una volta un uomo di nome Romano.
Romano era nato in una calda giornata di Luglio, in un piccolo paese sulle sponde del fiume Livenza.
Lui amava tanto la sua terra quanto odiava la prepotenza e l’ingiustizia. Fu così che, ancora studente, disse apertamente “no” al regime che faceva tacere chi gli era contro.
Per questo, a vent'anni fu costretto a raggiungere il fratello Sante, emigrato in Libia.
Fu allora che promise a se stesso che avrebbe lottato senza sosta per la libertà e per un mondo migliore. Tale idea mosse il cuore di molti, tanto che questi cuori si organizzarono per Resistere.
Tornato al paese nel 1942, Romano partecipo’ attivamente alla Resistenza, finendo in carcere.
Tanti luoghi qui attorno ci ricordano che il regime non era, di certo, tenero con chi resisteva: lo sanno le piazze, lo sanno gli alberi e anche i muri.
Arrivò il 1945 e la tanto sospirata Liberazione.
Romano era finalmente libero e continuò a tenere fede alla sua promessa, si impegnò, a oltranza, per migliorare il mondo, partendo proprio dal suo amato paese.
Lui diventò Sindaco di San Stino di Livenza, e fu anche il poeta che ne elevò il dialetto a lingua letteraria, non dimenticando mai l’impegno civile.
Romano scrisse della sua gente: gente di campagna che si affacciava alla ripresa del dopoguerra, tra sfruttamento e grandi valori del mondo contadino, gente che viveva, che soffriva, che gioiva, che moriva, lasciando in eredità un solo grande insegnamento, si piange da soli e si ride in compagnia.

Eredità
I me veci no m'ha lassà nissuna eredità.
I m'ha insegnà 'na roba che no bute via:
a pianzer da sol e a rider in compagnia.

(Romano Pascutto, L'acqua, la piera, la tera)

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