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sabato 7 marzo 2020

Il poema della favolosa avventura: l'Odissea

Mentre l'Iliade è il poema dell'eroismo guerriero, l'Odissea è il poema della favolosa avventura. Se l'Iliade infatti è tutta risonante di battaglie e di armi ed è pervasa da un'atmosfera di tensione, di odio, di ferocia, l'Odissea ci trasporta nel regno della fantasia, del meraviglioso, dove l'elemento magico assume un ruolo determinante.
L'Odissea narra l'avventuroso e difficile viaggio di ritorno in patria di Odisseo (Ulisse), dopo la distruzione di Troia.
Forte e coraggioso, abile guerriero, Ulisse è soprattutto uomo ingegnoso, calmo e riflessivo, tenace e astuto. E' l'eroe della saggezza è dell'intelligenza. Dominato da un profondo desiderio di conoscenza, egli vuole apprendere, ha sete di avventura e una forte attrazione per il mistero, l'ignoto.
Ulisse è, però, anche l'eroe umano per eccellenza: prova passioni e sentimenti comuni. Sempre presenti in lui sono la nostalgia per la patria e l'amore per la famiglia.


La guerra di Troia è finita ormai da dieci anni, ma Ulisse non è ancora tornato in patria. Nella sua reggia a Itaca i Proci spadroneggiano e insistono affinché Penelope, la moglie di Ulisse, scelga uno di loro come sposo.Telemaco, suo figlio, allora decide di partire alla ricerca del padre. 
Si reca a Pilo da Nestore e a Sparta da Menelao, dal quale apprende che Ulisse è vivo, trattenuto nell'isola di Ogigia dalla ninfa Calipso... 

Contro Omero...

Ecco qualche antica lamentela ispirata all'esempio di B. Placido.



Caro Omero, 
qui è Achille che ti scrive una lettera di protesta per il tuo racconto L'Iliade. 
Le falsità che tu hai scritto sono inaudite, per esempio tu hai detto che sono morto, ma se ti sto scrivendo vuol dire che non è così, oppure hai raccontato che Agamennone mi ha sempre trattato male anche se io e lui siamo grandi amici. 
Patroclo non è mai morto e io non ho mai partecipato a quella guerra, ho solo prestato l'armatura a Patroclo. 
Briseide non è mai esistita e Agamennone ha accettato il  riscatto di Crise. 
Paride non ha mai rapito Elena e Priamo non è mai stato re di Troia... Quella guerra è scoppiata solo a causa di una tassa sullo Stretto dei Dardanelli.
Mi sa che questa volta Calliope non ti ha aiutato Omero!
Con astio
Achille

Carissimo Omero,
chi ti scrive è il valoroso eroe Achille. Ho deciso di scriverti per lamentarmi del mio personaggio: capisco il dover essere forte e valoroso in battaglia, ma un po' più di tranquillità io me la meritavo!
A dire la verità io mi accontentavo di esserci nella tua opera, anche solo come venditore pelli al mercato, ma tu mi hai obbligato a lottare e combattere per andare a riprendere quella Elena fuggita, da Sparta, con il suo amante, poi  mi hai fatto litigare con Agamennone che si è preso la mia Briseide e, quando per questo non volevo più andare in battaglia, hai fatto morire il mio amico Patroclo, che è morto indossando la mia armatura... obbligandomi così a ritornare a fare la guerra per vendicarlo.
Tutto questo non mi è proprio andato giù e te lo dovevo dire.
Con rispetto
Achille



Signor Omero, sono Menelao, re di Sparta.
Le scrivo per avere alcuni chiarimenti in merito al mio ruolo nel suo noto poema l'Iliade.
Ospitai Paride, principe di Troia, nella mia città. Lui si innamorò di mia moglie Elena, alla quale Lei ha voluto assegnare il titolo di donna più bella del mondo...e come darLe torto!
Mia moglie e Paride fuggirono a Troia insieme e io, aiutato da mio fratello Agamennone, non ebbi altra scelta: gli dichiarai guerra.
Mi trovai a duellare con Paride: il vincitore si sarebbe tenuto Elena. Per avere la meglio chiesi aiuto a Zeus, ma lui non mi aiutò. Ero impotente, avevo capito che con l'aiuto degli dèi Paride avrebbe vinto, ma combattei lo stesso perché io rivolevo la mia regina.
Poi arrivò Afrodite che avvolse Paride in una fitta nebbia, traendolo in salvo.
Io non avevo fatto nulla di male, avevo onorato il sacro valore dell'ospitalità, accogliendo Paride, lui mi aveva disonorato, ma fu comunque aiutato dagli dèi!
Con rabbia
Menelao




Egregio Signor Omero,
mi presento: il mio nome è Paride, figlio di Priamo re di Troia ed Ecuba. 
Le scrivo per protestare per come mi ha descritto nell'Iliade
Sono arrabbiato e deluso perché mi ha fatto apparire come un guerriero di scarso valore, mentre altri personaggi risultano essere degli eroi! Anch'io volevo essere un eroe. E' vero che io ho ucciso il valoroso Achille ma l'aiuto di Apollo; lei avrebbe potuto farmelo uccidere senza nessun aiuto, solo con le mie virtù di guerriero, così anch'io sarei stato un eroe.
Come ha scelto chi doveva essere un eroe e chi no? Chi doveva morire e chi no?
Nell'attesa delle sue risposte, Le porgo (nonostante tutto) i miei più cordiali saluti.
Paride


Illustrissimo Signor Omero,
questa lettera di proteste e di chiarimenti è stata scritta dal sottoscritto Achille.
Prima domanda: perché quando sono nato mia mamma Teti  mi ha preso per il tallone, invece di immergermi interamente nel fiume Stige? Mi sarei evitato tanto dolore per nulla.
Seconda domanda: perché il mio migliore amico Patroclo è dovuto morire invano con la mia armatura indosso? Per fortuna sono riuscito, almeno, a vendicarlo, uccidendo Ettore e trascinandolo con il mio cocchio.
Terza domanda: perché non potevo essere un normale cittadino con una casa, una famiglia e un lavoro?
Sono davvero molto arrabbiato con Lei Omero, per come mi ha trattato nell'Iliade e pretendo che cambi la storia altrimenti invocherò contro di Lei l'ira di Zeus, Afrodite e Apollo.
Saluti
Achille



Illustrissimo Signor Omero, 
chi Le scrive è Paride (o Alessandro), "rapitore" di Elena di Sparta.
La mia sparizione nel duello contro Menelao non è stata degna di un guerriero. 
Si ricordi che l'amore è più forte di tutto.
Afrodite è stata gentilissima nei miei confronti, ma sono sicuro che anche se lei non mi avesse aiutato, sarei comunque arrivato a "vincere" Elena, grazie all'amore che provavo per lei.
Non si può giudicare una persona per qualcosa che non ha portato a termine per colpa o volere di qualcun altro. Sono stato portato via senza avere la possibilità di mostrare il mio valore e i miei sentimenti... forse Lei avrebbe potuto lasciare che vincessi solo con le mie forze!
Paride



Illustrissimo Omero, 
io sottoscritto Paride, principe di Troia, figlio di Priamo e Ecuba, "rapitore" di Elena, Le scrivo per lamentarmi.
Protesto perché non sono stato descritto come un valoroso guerriero: essendo un principe avrei dovuto esserlo!
Nel combattimento con Menelao ho rischiato addirittura la morte perché lui mi stava strangolando con il sottogola... per fortuna mi ha salvato Afrodite che ha spezzato la cinghia liberandomi dall'elmo  e avvolgendomi in una fitta nebbia mi ha portato nella stanza da letto di Elena.
Io volevo essere più forte di così, più valoroso, non volevo essere salvato da Afrodite.
Spero che per i prossimi racconti ne tenga conto.
Paride, principe di Troia




Egregio Omero, 
io, Ettore, figlio di Priamo ed Ecuba, marito di Andromaca, padre di Astianatte, sono sempre stato pieno di coraggio per la mia famiglia e per la mia patria, ma purtroppo sono comunque stato ucciso da Achille, che per vendicare Patroclo ha legato il mio corpo al suo cocchio, deturpandolo nella polvere. 
Dopo dodici giorni ha poi deciso di rendere il mio cadavere alla mia famiglia... se devo essere sincero avrei preferito non lo facesse. 
La mia morte ha causato dolore nella mia famiglia, in tutti i Troiani, ma anche in me: pensavo di valere più di Achille.
Dunque Omero, spero che la prossima volta Lei racconti una storia diversa.
Grazie per l'attenzione
Ettore



Illustrissimo Signor Omero, 
io sottoscritto Achille, valoroso guerriero Acheo, mi sono trovato, ingiustamente, più volte a dover affrontare delle situazioni difficili.
So per certo che ai lettori è piaciuto molto il suo poema, ma non ho trovato corretto il fatto che io abbia dovuto pagare le conseguenze di sbagli altrui, come per esempio quando Agamennone ha causato la peste per non aver liberato Criseide, chiedendomi poi in cambio Briseide... per questo avevo scioperato abbandonando la guerra!
Scusi se mi sono permesso quest'osservazione, ma ci tenevo a farLe sapere come io abbia vissuto tutto questo come un'ingiustizia.
Spero non si sia offeso, rispettosamente
Achille



Caro Omero,
io Eris, protesto per il mio ruolo di dea della discordia: non vengo mai invitata nelle occasioni speciali e questo mi ferisce. 
Questo ruolo non mi si addice per niente, avrei preferito essere la dea dell'amore oppure quella della sapienza, ma non quella della discordia che porta solo odio e guerra.
Se il ruolo di "dea della discordia" non fosse esistito, sarei stata invitata al matrimonio di Peleo e Teti, non avrei creato la mela d'oro, non avrei messo Atena, Afrodite e Era una contro l'altra, Paride non avrebbe scelto Afrodite (solo per la ricompensa di avere l'amore di Elena), Elena non sarebbe fuggita da Sparta, insomma non ci sarebbe stata la guerra di Troia!
Visto che Lei è l'autore del poema, spero rifletta sulla mia lamentela, cambi il mio ruolo e di conseguenza tutta la storia.
Aspetto con ansia la sua risposta.

Eris, la dea della discordia


Egregio Omero,
ho visto quello che ha scritto su di me nell'Iliade e devo dirLe che molte cose che ha raccontato sono false, ad esempio Lei ha detto che Paride rapì Elena e che Agamennone si rifiutò di ritornare Criseide al padre... TUTTO FALSO!
Forse è vero però che Agamennone si è comportato male con me per la questione di Briseide: io che sono molto geloso, sono diventato un po' sospettoso nei loro confronti.
Volevo lamentarmi con Lei, soprattutto per questa mia storia personale: per colpa sua, infatti, ho litigato con Agamennone e anche con la mia amata Briseide.
Saluti 
Achille


Caro Omero, 
io, Achille, semidio, nato in Grecia non volevo morire come ha raccontato Lei nell'Iliade.
Io vivevo normalmente, quando un giorno, Agamennone, fratello di Menelao re di Sparta, mi chiamò per andare in guerra contro Troia: la moglie di Menelao era stata rapita da Paride, principe di Troia.
Tutti gli Achei partirono e assediarono Troia. Ma poi scoppiò un'epidemia di peste nel nostro campo, mandata da Apollo, perché Agamennone non aveva voluto restituire Criseide, figlia di un sacerdote di Febo, al padre. Alla fine Agamennone decise di restituirgliela, per far finire la peste, ma solo alla condizione che io gli cedessi Briseide. Io accettai, per il bene dei miei compagni, ma giurai di non fare più la guerra. E così feci, quando però il mio migliore amico Patroclo venne ucciso da Ettore di Troia, ritornai in guerra e lo vendicai... poi mi arrivò una freccia sul tallone, scagliata da Paride e morii.
Omero, io volevo chiederLe di cambiare questa parte: voglio morire in modo valoroso, non in un modo così poco degno di un eroe.
Grazie per l'attenzione, a presto
Achille


Egregio Omero,
ero orgoglioso di aver accettato di essere uno dei protagonisti della sua Iliade, ma poi qualcosa è andato storto: Lei ha scritto delle cose non vere, cambiando completamente la storia!
1. Paride non rapì Elena di Sparta; la guerra con Troia scoppiò a causa di una tassa imposta, dai troiani, ai greci che volevano passare lo stretto dei Dardanelli.
2. Non è vero che Agamennone mi trattò male, in realtà lui ed io siamo sempre stati grandi amici
3. Agamennone restituì immediatamente Criseide al padre, quando lui gliela chiese gentilmente indietro.
4. Io non ho mai partecipato alla guerra e dunque non sono mai morto in battaglia;
5. nemmeno Patroclo, che invece ha partecipato alla guerra, con la mia armatura, è morto.
Sono davvero arrabbiato e non vorrei più comparire in una storia così fasulla.
Con amarezza
Achille


Illustrissimo Signor Omero, 
sono Andromaca, moglie di Ettore, madre di Astianatte, e Le scrivo per lamentarmi con Lei.
Mio marito è dovuto, andare in guerra contro gli Achei, fino alla fine. 
E' stato molto dura salutarsi, sulle mura di Troia... c'è stato un momento di grande tenerezza, quando Ettore non è stato riconosciuto, a causa dell'elmo, dal piccolo Astianatte, che si è messo a piangere: lo ha abbracciato solo quando si è tolto il cimiero. 
In quel momento ho provato un dolore fortissimo, perché ho pensato che quella, probabilmente, sarebbe stata l'ultima volta che saremmo stati insieme.
Ettore, a quel punto, mi disse "ognuno ha il proprio destino e nessuno può cambiarlo" e poi se ne andò.
Lei Omero, non poteva cambiare la nostra sorte? Non poteva far ritornare Ettore sui suoi passi? O almeno non poteva farlo sopravvivere, così che potesse stare con me e Astianatte?
La vita era già stata tanto ingiusta con me...
Con dolore 
Andromaca

martedì 3 marzo 2020

La fine dell'Iliade (canti XVI-XXIV)

Patroclo, il più caro amico di Achille, viste le difficoltà dei compagni, prega l'eroe di poter indossare le sue splendide armi: alla loro vista i Troiani terrorizzati senz'altro si ritireranno. Achille acconsente. Il successo dello stratagemma è immediato:  i Troiani, ingannati, fuggono e Patroclo semina paura e strage fra i nemici che lo credono Achille. Ettore però non fugge, gli si fa incontro e lo uccide.


Achille, appresa la notizia della morte di Patroclo, è assalito da un disperato dolore e giura di vendicarlo uccidendo Ettore. Si riconcilia con Agamennone che gli restituisce Briseide, indossa la nuova armatura preparatagli dal dio Efesto e si lancia nel campo di battaglia.
Subito la battaglia si trasforma in una sconfitta per i Troiani: Achille fa strage dei nemici e si avvicina sempre più alle mura di Troia. Quando Priamo si accorge che per i Troiani non c'è scampo, dà ordine di aprire le porte della città affinché i fuggiaschi possano salvarsi. Solo Ettore rimane fuori dalle mura e decide di affrontare Achille. 


Il duello si conclude con la morte di Ettore. Achille lega il cadavere al suo cocchio e lo trascina nella polvere attorno alle mura di Troia; ritorna poi alle navi e ordina grandi onori funebri per Patroclo. 


Dopo dodici giorni, impietosito da Priamo, il padre di Ettore, Achille permette di restituire ai Troiani il cadavere dell'eroe.


 Con i solenni funerali di Ettore si chiude il poema.

martedì 9 aprile 2019

La mia prima esperienza con il ciclope assieme ad Odisseo


Presi dalla stanchezza cercammo un rifugio, una grotta, qualunque cosa che sarebbe potuta esserci utile per ripararci. La ricerca durò ben due faticosissime ore, con il lerciume per i tanti mesi senza lavarsi, il sudore, lo stomaco che gorgogliava dalla fame e la gola arsa e secca per la sete. Eravamo tutti scoraggiati fino al fatale momento, anche se noi non gli credevamo, in cui Odisseo urlò: "Fermate la nave, ho visto una grotta!” A quelle parole tutti (io compreso) sussultammo facendo un sospiro di sollievo. Pensai: ”Finalmente una sosta, del cibo, dell’acqua!” Ero al massimo della felicità, non sapendo cosa ci stesse aspettando. Al culmine della gioia sbarcammo ed entrammo nella grotta, ignari della nostra orribile sorte. Festeggiammo ma probabilmente non avremmo dovuto cantare vittoria troppo presto perché proprio in quel momento udimmo dei passi, dei passi pesanti e la terra vibrare come un terremoto “BUM! BUM!” Da quei rumori restammo immobilizzati, a quel punto ci apparve un mostro, un mostro enorme: aveva un solo occhio, un solo spaventosissimo occhio, con delle vene di un rosso intenso e pulsanti. Era agghiacciante. Gridò parole che feci fatica a comprendere con quella voce rauca: "Andatevene se non volete morire sbranati!” Tutti ci guardammo impauriti e poi guardammo Odisseo, di lui ci saremmo fidati ciecamente, era un uomo furbo e ingegnoso, un eroe, ma lui rispose con lo sguardo di chi, in questo caso, non sapeva che fare. Il mostro allora prese due nostri compagni con la tozza mano e li strinse senza pietà. Vidi i miei compagni di viaggio lasciare la vita. La disgustosa creatura prese le loro teste e le sbatté a terra come uova e piano piano si mise a mangiare i loro arti uno ad uno. Il loro sangue scendeva impetuoso ed io ero terrorizzato: sapevo di poter essere il prossimo. L’alba arrivò svelta e noi eravamo completamente spaesati. L’indomani mattina l’orribile gigante si mangiò altri due nostri compagni. Fu a quel punto che Odisseo porse alla bestia un calice di vino e io intuii che aveva un piano. Alla belva il vino piacque talmente tanto che ne bevve tre calici. Si ubriacò, così noi affilammo un bastone e Odisseo disse al mostro: ”Se ci dai ospitalità io ti svelo il mio nome: Nessuno”. L’essere orribile si addormentò e fu così che ci armammo di coraggio e del bastone che ZAC! infilammo nell'occhio lasciandolo cieco. Quando il ciclope chiese aiuto ai suoi compagni, gli domandarono chi lo avesse ferito e lui rispose nessuno. Nel frattempo noi scappammo e, da una certa distanza, Odisseo gridò alla bestia la sua vera identità. Ringrazio ogni giorno gli Dèi per essere uscito vivo da quella tragedia.

Sofia Valente IC