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lunedì 2 marzo 2020

Giovanni Pascoli e il fanciullino


Giovanni Pascoli nasce a San Mauro di Romagna (oggi San Mauro Pascoli) in provincia di Forlì. Quarto di dieci figli, trascorre un'infanzia serena fino al 10 agosto 1867, giorno in cui il padre, Ruggiero Pascoli, viene assassinato con una fucilata mentre torna a casa. Le ragioni e gli autori del delitto, rievocato nella poesia X Agosto, sono rimasti per sempre sconosciuti. 
Pascoli, che all'epoca ha soltanto dodici anni, rimane profondamente traumatizzato da quest'evento che sconvolge la vita della sua famiglia, la quale attraversa prima una forte crisi economica, poi viene colpita da altri lutti e alla fine è costretta ad abbandonare la tanto amata residenza in campagna. Pascoli deve così lasciare il collegio presso Urbino dove aveva iniziato le scuole, ma riesce comunque a completare gli studi, fino a conseguire la laurea in lettere, che gli permette di diventare insegnante di latino e greco nei licei e poi professore universitario. Muore a Bologna nel 1912, dopo aver pubblicato diverse raccolte poetiche.


Il fanciullino
Il poeta, secondo Pascoli, è un fanciullino, un ragazzo che "rimane piccolo anche quando noi ingrossiamo", che "piange e ride senza un perché di cose che sfuggono ai nostri sensi ed alla nostra ragione", che "guarda tutte le cose con stupore e con meraviglia", che ha una sensibilità speciale che gli consente di trovare significati nascosti anche nelle cose più comuni. "Il poeta è colui che dice la parola che tutti avevano sulle labbra e che nessuno avrebbe detta".

venerdì 18 maggio 2018

Una pessima giornata


Non avrei mai potuto pensare che sarebbe stato quello il giorno peggiore della mia vita. Quel giorno era cominciato abbastanza bene, mi ero svegliato presto, avevo fatto colazione con calma, le mie piantine cominciavano a fare i fiori ed ero anche arrivato a scuola in anticipo. Mai fidarsi delle apparenze.
Appena entrai in classe vidi i banchi separati, capii quale orrenda sorpresa aspettava me e i miei compagni. La seconda verifica a sorpresa del mese. Non era che l’inizio.
Dopo una dozzina di risposte messe a caso e il suono della campanella cominciò la seconda ora. Il mio ottimismo era ancora alto. Entrò la professoressa e ci disse che ci sarebbe stato un lavoro di gruppo. Il mio gruppo era uno dei migliori però non fui utile poiché le mie idee erano ritenute stupide e quindi inutili. La quinta ora avevamo arte: materia tuttora per me difficile. In quella fatidica ora scoprii di aver sbagliato tutto il lavoro e mi resi conto che avrei dovuto rifarlo; così decisi di far scivolare via la sesta ora in modo da allontanarmi prima da scuola. 
Il ritorno in auto verso casa fu devastante poiché mia sorella percepì la debolezza del mio spirito e decise di dare il colpo di grazia: infastidendomi così tanto che l’avrei fatta volare fuori dal finestrino. Nostra madre ci vide e ci sgridò con tutta se stessa perché odiava essere disturbata durante la guida. Una volta a casa preparammo la tavola.
La mia voglia di vivere non c’era quasi più così feci l’unica cosa che avrebbe potuto farmi stare meglio: mi diressi verso un cassetto, lo aprii e tirai fuori un coltello, lo impugnai e mi tagliai una fetta di formaggio. Mi feci un panino, lo mangiai e mi sentii meglio. Il pomeriggio passò molto velocemente ed io mi recai allo stadio per gli allenamenti. Non avevo dormito molto in quei giorni, per cui quando finimmo l’allenamento di resistenza io caddi stremato a terra. A fatica camminavo e quando fui a casa mi feci una doccia e andai a dormire.
Il giorno successivo mi svegliai alle sette e mezza, non feci colazione e arrivai in ritardo a scuola. Tutto era tornato normale.

Alberto Sirugo IIC