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venerdì 14 gennaio 2022

Tele e camaleonti: opinioni di un Anonimo sul conformismo

Il conformismo è un fenomeno che tutti vedono sotto una cattiva luce. In realtà il conformismo varia, tanto che può essere sia positivo che negativo. A parare mio lo si può sperimentare a qualsiasi età, però il periodo in cui si è più soggetti a questo processo è sicuramente quello adolescenziale. Il periodo più confusionario di tutti, quando si pensa solo ad essere accettati, inclusi nel gruppo, e se si viene rifiutati si è disposti a stravolgere il proprio carattere e il proprio fisico. Comunque credo di essere stato soggetto a questa evoluzione pure io: una volta, prima delle medie, nel gruppo di amici ero sempre solare e felice ma anche permaloso. Mentre ora sono diverso: non apatico, ma sicuramente più spento. Ciò è dovuto ai miei denti. Da piccolo li trascurai tanto, perciò si sono ingialliti e per quanto io li lavassi non sono tornati bianchi come quelli delle altre persone. Quindi ho pensato che, ridendo meno, la gente non mi avrebbe detto nulla riguardo alla mia bocca, e così accadde. Fortunatamente oggi ci sono le mascherine... Per cui mi estraneo un po' dalla comitiva di amici, ma ci sono comunque persone che mi fanno stare bene e di cui mi piace il carattere; quindi le imito. Un po’ come se io fossi un camaleonte e i miei amici una tela piena di sfumature colorate, nella quale posso mimetizzarmi. Perciò credo che il conformismo sia un qualcosa di positivo finché si mantiene un po’ della propria personalità. Invece diventa negativo quando si stravolge totalmente il proprio carattere e il proprio modo di essere. Il mio parere è che si possa essere sia tele che contemporaneamente camaleonti.


L'adolescenza e i suoi imprevisti

L’adolescenza è un vero e proprio caos: infinite emozioni invadono la mente senza farti capire più nulla… 

Rabbia e tristezza si fanno sentire sempre più frequentemente facendo volar via intere giornate, rovinandole.

Si iniziano a fare dei sacrifici, prendere delle decisioni, organizzare le giornate, prendersi cura di sé  stessi (cosa che in precedenza richiedeva il sostegno dei genitori). Insomma, si impara a vivere!

E’ il periodo dello sviluppo, quando litigi e incomprensioni sono in cima alla classifica degli imprevisti da gestire ed è proprio questa la parte complicata: il controllo delle emozioni.

Iniziamo a conoscerci veramente provando (spesso fallendo) ad accettare i propri cambiamenti fisici: il suono arzillo e squillante della voce dei bambini si trasforma in cupo e rimbombante, alcune parti del corpo si allargano accompagnate dai soliti insulti di questi tempi.

E’ il periodo della sopportazione, forse per il semplice motivo che ci rendiamo conto del vero significato delle opinioni (spesso negative) altrui e dell’importante peso che possono assumere.

Per adeguarsi a queste critiche si cerca di modificare la propria personalità e integrarsi in un gruppo. Proprio per questo durante l’ adolescenza è complicato sentirsi a proprio agio con le altre persone…

Ovviamente si cambia anche caratterialmente: i modi di fare di noi ragazzi/e è palesemente cambiato. Siamo suscettibili, facilmente irritabili e permalosi; tutto ciò perché nella maggior parte dei casi c’è una mancanza di assistenza da parte di una figura adulta. Quella dei genitori è un’altra enorme parentesi difficile da chiudere.

Ormai anche il rapporto con loro è rovinato: parecchie volte ci ritroviamo in disaccordo, situazione che porta noi giovani a fare delle scelte insensate e immature che a loro volta vengono giudicate dal mondo intero.

Non credo di aver esagerato, infatti in quest’età ci si sente sempre al centro dell’attenzione in modo costante con miliardi e miliardi di occhi puntati addosso, bocche che si aprono per contraddirti continuamente e mani pronte a spingerti in fondo a un burrone.

Per risalire questo precipizio, l’unica cosa da fare è resistere e adeguarsi al pianeta Terra e alla sua evoluzione, magari anche scivolando con un piede durante la scalata. Ma è proprio in questo momento che bisogna essere rapidi a riaggrapparsi alla parete del burrone e riprendere la salita.

Questa arrampicata per me rappresenta la crescita: dura, faticosa e colma di imprevisti, ma alla fin fine ognuno arriverà in cima.

Chiara B. IIIDS

venerdì 16 novembre 2018

Vedute... di La Salute


Sotto un cielo azzurro,
tra secchi pali, 
un fiume profondo.

Sharon Gusso 


Vento forte,
nuvole scure:
 il temporale

Tommaso Bortoluzzo 


Cipressi alti,
sassi bianchi,
 una chiesa.

Silvia Fantinello 


Erba verde,
cielo limpido,
un uomo cammina.

Gioia Abigail Zia 


Un grande campo di pannocchie,
piccoli alberi con il loro padre.

Gianmaria Presottin 


Acqua immobile,
 fruscio rilassante:
l'ansa.

Karen Simondo


Un albero spoglio e solitario,
il cielo grigio,
una strada che divide.

Giosuè Carbonera


Case colorate,
cielo allegro,
tanto spazio:
divertimento.

Valentina Gaetani


Sulla strada stretta,
verso alti alberi,
corrono le bici.

Manuel Roman


La scuola, nascosta,
vicino al ponte bianco
sul nostro fiume Livenza.

Lorenzo Molin


mercoledì 6 giugno 2018

Film: Caterina va in città



Caterina è una ragazza di dodici anni, con la passione per la lirica, che vive nel paesino di Montalto di Castro. 
Nel 2002 si trasferisce con i suoi genitori a Roma, perché il padre, professore di ragioneria, prende una cattedra in città. Lui confida molto in questo trasloco: spera di poter lì realizzare il suo grande sogno di diventare uno scrittore.
In realtà questo cambiamento con gli gioverà molto, contrariamente alle sue aspettative, l’ambiente scolastico urbano lo farà uscire di testa, portandolo poi ad avere seri problemi con la moglie Agata.

Caterina è in terza media.
Inizialmente a scuola non riesce ad integrarsi, ma poi fa amicizia con Margherita e Daniela: la prima alternativa e ribelle figlia di due intellettuali, la seconda ricchissima e viziata figlia di un politico.
Un giorno, mentre Caterina è chiusa nel bagno dello spogliatoio della palestra a scuola, sente Daniela e altre ragazze che la definiscono “sfigata, un caso irrecuperabile”. Arrabbiata per quanto ha sentito Caterina durante l’ora di motoria spinge Daniela a terra e da lì nasce una rissa. 
Caterina scappa da scuola.
Ad aiutarla a risolvere “il casino combinato” sarà Edward…

“Caterina va in città” è un film molto divertente, su temi fondamentali come la ricerca della felicità, le passioni che fanno crescere progetti, il perseguire i propri sogni.

 GUARDATELO!

IAL

venerdì 18 maggio 2018

Una pessima giornata


Non avrei mai potuto pensare che sarebbe stato quello il giorno peggiore della mia vita. Quel giorno era cominciato abbastanza bene, mi ero svegliato presto, avevo fatto colazione con calma, le mie piantine cominciavano a fare i fiori ed ero anche arrivato a scuola in anticipo. Mai fidarsi delle apparenze.
Appena entrai in classe vidi i banchi separati, capii quale orrenda sorpresa aspettava me e i miei compagni. La seconda verifica a sorpresa del mese. Non era che l’inizio.
Dopo una dozzina di risposte messe a caso e il suono della campanella cominciò la seconda ora. Il mio ottimismo era ancora alto. Entrò la professoressa e ci disse che ci sarebbe stato un lavoro di gruppo. Il mio gruppo era uno dei migliori però non fui utile poiché le mie idee erano ritenute stupide e quindi inutili. La quinta ora avevamo arte: materia tuttora per me difficile. In quella fatidica ora scoprii di aver sbagliato tutto il lavoro e mi resi conto che avrei dovuto rifarlo; così decisi di far scivolare via la sesta ora in modo da allontanarmi prima da scuola. 
Il ritorno in auto verso casa fu devastante poiché mia sorella percepì la debolezza del mio spirito e decise di dare il colpo di grazia: infastidendomi così tanto che l’avrei fatta volare fuori dal finestrino. Nostra madre ci vide e ci sgridò con tutta se stessa perché odiava essere disturbata durante la guida. Una volta a casa preparammo la tavola.
La mia voglia di vivere non c’era quasi più così feci l’unica cosa che avrebbe potuto farmi stare meglio: mi diressi verso un cassetto, lo aprii e tirai fuori un coltello, lo impugnai e mi tagliai una fetta di formaggio. Mi feci un panino, lo mangiai e mi sentii meglio. Il pomeriggio passò molto velocemente ed io mi recai allo stadio per gli allenamenti. Non avevo dormito molto in quei giorni, per cui quando finimmo l’allenamento di resistenza io caddi stremato a terra. A fatica camminavo e quando fui a casa mi feci una doccia e andai a dormire.
Il giorno successivo mi svegliai alle sette e mezza, non feci colazione e arrivai in ritardo a scuola. Tutto era tornato normale.

Alberto Sirugo IIC

Nostalgia portami via


Carissimo lettore,
il nostro professore di italiano ci ha detto che per casa dovevamo scrivere un “testo autobiografico” dove raccontavamo di un momento/periodo della nostra vita di cui avevamo nostalgia. E allora io mi sono chiesta: qual è il momento più bello della mia vita di cui ho nostalgia?
Sono sicura che mi dirai che dovrei saperlo, ma ripercorrendo la mia vita non ho trovato un momento così forte da farmi venire nostalgia. Potrei mentire spudoratamente al professore, facendo l’ipocrita e dire che “Il momento di cui ho tanta nostalgia è quando andavo all'asilo nido” e raccontare tutte le cose poco impegnative che facevamo quando usavamo ancora il pannolino. Che poi è vero che io, a volte, rimpiango questi momenti, ma non ne ho nostalgia perché, è vero, a tutti piacerebbe non fare niente in alcuni attimi di stress, ma non so se anche tu rinunceresti veramente a tutte le tue conoscenze per ritornare a fartela addosso.
Sicuramente, alla fine della 5a elementare, l’ultimo giorno di scuola (e quando dico ultimo, era veramente l’ultimo), mi sarebbe piaciuto ritornare in prima e rifarmi tutti i cinque anni di scuola primaria, ma solo perché in quel preciso giorno mi sembrava veramente di avere un legame forte con tutti i ventidue compagni di classe: era il venerdì della prima settimana di giugno del 2016, un giorno caldo, passato a divertirci con il resto della scuola; quel giorno era passato velocemente e il divertimento aveva fatto scorrere il tempo in modo supersonico (pensa ad una Lamborghini fusa con una Ferrari) e ormai la giornata di scuola era finita. Stavo facendo lo zaino e ormai mi mancavano pochi libri da sistemare; non mi ricordo come e non mi ricordo perché ma ci ritrovammo tutti a piangere: forse perché eravamo stanchi, forse perché non riuscivamo a lasciare la classe, forse perché eravamo consapevoli che non ci saremmo più visti, ma ci ritrovammo a piangere e ad abbracciarci. Pure una mia compagna sempre impassibile si era messa a piangere: cosa che non era quasi mai successa in cinque anni di scuola. Fatto sta che tutte le classi che sono passate davanti alla nostra porta aperta (e sì, anche la classe del mio caro fratellino, che poi mi ha detto, quando l’ho accusato che stava ridendo di noi, che in quel momento stava ridendo per una cosa che gli aveva detto uno dei suoi compagni) si sono messe a ridere, inconsapevoli del nostro puro dolore e alla fine sono venuti a prenderci i nostri genitori, con gli ombrelli in mano, e quella giornata che incominciò col caldo e la felicità si trasformò in un lugubre, triste e piovoso giorno di fine primavera. In quel momento ero sicura che il tempo invece era consapevole di ciò che provavamo (come la natura in “Solo e pensoso” di Petrarca), ma non avevo capito che il meteo in primavera fa molto spesso questi scherzi. 
Passò un’estate all’insegna del divertimento, della spensieratezza e della paura per la scuola media; all’inizio dell’anno scolastico ci ritrovammo tutti in cortile, a parte uno o due compagni che erano andati a frequentare scuole in altri paesi. Eravamo tutti felici di rivederci e le prime settimane ci salutavamo sempre, ma poi, a fine settembre, cominciammo a ignorare l’esistenza di tutti i nostri ex-compagni. Tant’è vero che me la sono pure presa perché una di loro, che consideravo la mia migliore amica, mi ha invitato al suo compleanno e mi ha ignorato per tutto il tempo e sono rimasta con gli altri maschi e suo fratello a giocare a braccio di ferro (alle elementari riusciva a battermi, ma poi l’ho sconfitto con una rivincita). In quel momento avevo aperto gli occhi su quello che stava accadendo alla nostra amicizia: mi sentivo così stupida. Alla fine ho capito che certe amicizie sono vere come il sole che sorge ogni giorno, altre invece sono false come le ultime tre paia di costole della gabbia toracica. Comunque mi sono ritrovata nella nuova classe con compagni simpatici e con qualcuno di loro ho stretto un’amicizia divertente.
Chissà se in prima superiore rimpiangerò la seconda media.

Selma Matilde Ahmed Mohammed IIC

lunedì 23 aprile 2018

L'Italiano: una lingua come mezzo di integrazione e di libertà



racconto ispirato dal romanzo


In questa palazzina di Trieste non c'è niente che sta al posto giusto.

Siamo tutti immigrati e c'è solo un italiano: il signor Rosso, che è razzista. 
Il signor Rosso non va d'accordo con nessuno, ha una casa molto sporca, beve e fuma da mattina a sera.

Al primo piano abitano dei cinesi che lavorano in un ristorante e la loro casa è arredata con pezzi di riciclo del locale.
Il signor Rosso da poco ha perso i suoi gatti, non li trova più e quindi accusa i cinesi, perché pensa che loro li abbiano mangiati.

Ce l'ha raccontato Bocciolo di Rosa... Noi donne del palazzo stiamo diventando amiche, ci aiutiamo nelle cose di ogni giorno e abbiamo deciso di imparare l'italiano, quindi abbiamo fatto una colletta per pagare un'insegnante che ci aiuti: per integrarci dobbiamo conoscere la lingua del paese in cui abitiamo.

Da qualche giorno un problema ci accomuna tutti (noi stranieri e anche il Signor Rosso): il padrone del palazzo, il signor Zacchigna, è morto e gli eredi vogliono vendere lo stabile. Siamo tutti nei guai, dove andremo ad abitare?!

La storia continua... leggete il libro!

Jona Buoso, IIBL

Qualcosa (di Chiara Gamberale) per la Giornata Mondiale del libro


In  un regno, da un re e una regina nacque una bambina: Qualcosa di Troppo.
Un giorno, quando Qualcosa di Troppo, aveva tredici anni, la madre morì.
La ragazzina scappò in collina per sfogare, urlando, tutta la sua disperazione. Lì conobbe il Cavalier Niente che rimproverò Qualcosa di Troppo perché le sue urla lo distraevano dal suo non fare niente. La principessa si offese: il suo dolore non veniva rispettato, lei aveva un buco nel cuore.
Il Cavalier Niente le suggerì di non far nulla per guarire,  ma Qualcosa di Troppo non seguì il suo consiglio e fece tanto, troppo per non pensare e per non sentire, fino a quando.... (continua a legger il libro!)

Carolina Ronchiato, IAL

fumetto del romanzo realizzato dalla classe IAL

lunedì 19 marzo 2018

La mia piccola Trilli




Mi ricordo ancora quando mamma e papà mi regalarono un piccolo esserino, morbido, colorato, coccoloso e con due grandi occhi color giallo ocra, in poche parole una gattina, di cui mi innamorai subito.
La chiamai Trilli, visto che tutti gli altri nomi che avevo scelto non andavano bene per i miei genitori. Appena me la diedero in mano, la portai a fare il giro della sua nuova casa e la aiutai a salire le scale. Visto che era ancora troppo piccola per fare uno scalino, la presi in braccio e, salite tutte quelle scale, la poggiai a terra.
Subito si fiondò nella mia camera, sembrava attratta dal mio piumone: non potei biasimarla, era così caldo e morbido che appena ti ci appoggiavi sopra, cadevi in un sonno profondo, simile a quello delle fiabe.
Capii subito il suo intento: voleva provare la mia stessa sensazione, voleva lasciarsi andare in una nuvola di piacere, come me tutte le notti. Allora presi una decisione, la sua prima notte, nella sua nuova famiglia, l'avrebbe passata con me. Conobbe così  la mia nuvola di piacere, e le feci fare sogni d'oro come una mamma che dà la buona notte ai suoi bambini, e li tratta come il tesoro più grande che possieda. Lei, fin da quel momento, fu proprio il mio tesoro più grande. Avevo trovato un’amica, la mia nuova migliore amica, quella che non mi avrebbe mai abbandonato.

Noemi Scomparcini IID

venerdì 2 marzo 2018

Diario di un bambino cresciuto




8/01/2018
Caro Diario,
a volte mi capita di ripensare a quando ero più piccolo e provo un certo rimpianto per quel periodo in cui tutto sembrava così semplice.
Quanto erano belli quei momenti dell’infanzia: non avevi problemi, non serviva che decidessi e non dovevi fare praticamente niente; avevi quella sensazione di “siete tutti ai miei ordini" e “loro”, visto che eri un bambino, ti accontentavano praticamente sempre. Peccato che adesso quei giorni siano finiti. Adesso sono più grande, quindi ho molte più responsabilità sulle spalle, più scelte da fare, più ostacoli da superare.
Ripensare a quei giorni in cui “non avevo niente” mi fa restare quasi senza fiato e con i brividi addosso, sapendo che da piccolo pensavo a cosa sarei diventato da grande. Riavere tutti quei bei momenti di gioia... come la prima volta che sono andato a Gardaland… mamma mia, quanto mi sono divertito su tutte quelle giostre. Ricordo quando sono andato al cinema per la prima volta e sono rimasto strabiliato, perché non avrei mai immaginato che esistesse un posto così, con un megatelevisore. WOW! Che emozioni… emozioni che non posso più rivivere, perché ormai sono cambiato.
Ovviamente con momenti belli ci sono stati anche momenti e sensazioni brutte, ad esempio la prima volta che sono andato in ospedale perché stavo male, o anche la prima volta che sono dovuto andare in un cimitero e ho visto tutte quelle persone che pregavano Dio per riavere i loro cari scomparsi.
Questi sono stati momenti orribili e “strani”, perché da piccolo stare male ti sconvolge, è un'esperienza che non hai mai vissuto prima; al cimitero per esempio, mi sembrava assurdo vedere gente che pregava per un persona scomparsa, adesso invece, mi fa riflettere e capisco come le persone possano amare tanto da piangere e disperarsi e implorare ancora coloro che non sono più con noi.
Io, diario, devo essere sincero con te, da piccolo non vedevo l’ora di crescere; adesso ne ho il timore e vorrei tornare bambino e riprovare tutte quelle sensazioni, belle e brutte, vorrei rivivere lo stupore di tutte le prime volte, perché le prime volte non le scordi mai... purtroppo non è più possibile tornare indietro!
Ecco diario, questo è quello che sento quando ripenso alla felicità di essere piccolo.

Enrico Crosariol IIB